Stranieri che lavorano molto e guadagnano poco, frontiera della discriminazione

Maurizio Bongioanni

Maurizio Bongioanni

Scritto il 23 Nov 2013 in Articolo 36

Tra i primi anni '90 e il 2011 il numero di cittadini stranieri residenti in Italia è passato da mezzo milione a oltre 4,5 milioni. L'Italia è uno dei pochi paesi tra quelli dell'Unione Europea in cui i cittadini stranieri residenti mostrano tassi di occupazione più elevati dei cittadini nazionali con caratteristiche simili. Ma a fronte di questa maggiore probabilità di occupazione, i lavoratori dipendenti stranieri tendono a concentrarsi in settori a più basso contenuto professionale, a svolgere mansioni meno qualificate e a ricoprire impieghi meno stabili. Secondo il quarto “Rapporto sulle diseguaglianze nei diritti e nelle condizioni di vita degli immigrati” pubblicato dalla Fondazione Gorrieri e curato da Chiara Saraceno, Honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino, dai sociologi Giuseppe Sciortino e Nicola Sartor, l'Italia si colloca fra i Paesi a maggior disuguaglianza in Europa, soprattutto in termini di lavoro.

Ma che tipo di lavoro svolgono i residenti stranieri? Secondo i dati raccolti nell'indagine sulle forze di lavoro da parte dell'Istat, nel triennio 2006-2008 i lavoratori dipendenti stranieri (poco meno dell'8% sul totale della forza lavoro dipendente) rappresentavano circa il 14% tra operai e apprendisti, poco più del 1% degli impiegati, quadri e dirigenti e più della metà dei collaboratori domestici. Tra gli imprenditori invece costituivano solo l'1,5% del totale e il 5% dei lavoratori in proprio. Nel complesso, l'incidenza dei lavoratori stranieri superava il 13% nelle costruzioni e arrivava quasi al 12% nella ristorazione; superava il 7% nella trasformazione industriale e il 21% nel settore degli altri servizi pubblici sociali alle persone. Sulla base dell'indagine Eu-Silc di Eurostat, l'Italia sembra registrare i divari più ampi nella probabilità di occupazione qualificata: da un lato è molto meno probabile che gli stranieri svolgano professioni specialistiche impiegatizie rispetto ai cittadini, dall'altro è maggiore la probabilità che siano occupati in mansioni operaie.

Giuseppe Sciortino pone l'accento sull'esistenza di una disuguaglianza permanente: «il miglioramento delle condizioni socio-economiche è come se si fermasse a un certo punto, rispetto ad altri paesi europei» dice ad Articolo36. Per gli immigrati l'ascensore sociale, cioè, si blocca a un certo piano. Secondo gli autori del rapporto, gli elementi del divario vanno ricercati sia dalla provenienza sociale del paese d'origine, che ha una sua struttura produttiva e anche nella durata di residenza dello straniero in Italia che incide sul processo di integrazione. Fattori che però non tengono davanti all'evidenza: la probabilità di perdere il lavoro dopo un anno è generalmente maggiore per gli stranieri e per le donne.

«Le famiglie straniere soprattutto quelle di prima generazione, contribuiscono di più al bilancio pubblico, in proporzione, rispetto alle famiglie italiane, ricevendo meno in termini di servizi. E i redditi sono più bassi»
continua il sociologo. «Non è questione di razzismo, ma il fatto è che la domanda di lavoro è meno qualificata». Ma se la prima generazione ha un effetto positivo sulla fiscalità, l'esito fiscale della seconda generazione dipenderà dal livello occupazionale: se non c'è mobilità i costi saranno più alti dei benefici.

Le disuguaglianze poi ci sono anche nel settore in proprio. Il 7,4 % delle imprese attive italiane è composto da persone non nate in Italia. Anche questi imprenditori, come quelli italiani a tutti gli effetti, si concentrano su attività a basso contenuto di innovazione e bassa qualifica. Una causa è l'accesso al credito: si stima che il costo del credito per le ditte individuali costituite da extracomunitari è, a parità di caratteristiche d'imprenditorialità, superiore di circa 60 punti base a quello per le ditte italiane.

La retribuzione è un altro elemento su cui è evidente la disparità
: guardando ai dati dell'Inps 2004 (gli ultimi disponibili, incredibilmente) la retribuzione lorda settimanale dei dipendenti nati all'estero è in media più bassa del 22% (escludendo il settore agricolo e con differenze tra uomini e donne: quest'ultime arrivano al 32%) rispetto ai nati in Italia. Il divario è riconducibile alla concentrazione dei primi in settori con livelli retributivi inferiori alla media. Per il reddito individuale da lavoro la sostanza non cambia: i dati dell'indagine sui bilanci delle famiglie condotta dalla Banca d'Italia mostrano che il reddito disponibile delle famiglie con a capo una persona nata all'estero sia di oltre il 40% inferiore a quelle delle famiglie dei nati in Italia. Se si guarda la ricchezza immobiliare, il divario sale al 60%. Ciò si spiega anche con il fatto che nelle famiglie straniere spesso ci sono più inoccupati, giovani e numerosi, che incidono sul bilancio famigliare. Ma in termini di capacità di spesa il divario si fa sentire: -36% per le famiglie straniere. In generale, quindi, queste famiglie sono più povere di quelle italiane (56,8% per gli stranieri contro il 23,4% per gli italiani): la quota di reddito risparmiato non raggiunge il 4% (contro il 12% delle italiane). Le minori possibilità di risparmio rendono la famiglia straniera più vulnerabile e sull'orlo continuo della soglia di sussistenza.

Una povertà che si riflette anche sui minori: un minorenne straniero su due rischia di cadere in condizione di povertà. Una prova, secondo i curatori del rapporto, che non sia vera la diceria – dal sapore vagamente xenofobo – per la quale gli immigrati approfitterebbero del welfare italiano. Nemmeno in termini di alloggi popolari: «L'offerta è così bassa» spiega di nuovo Giuseppe Sciortino «che non fa la differenza né fra la popolazione italiana, né fra i migranti». Anzi, se si guarda al numero di domande si scopre che sì, quelle provenienti da famiglie straniere sono maggiori, ma ottengono meno alloggi. Contando, perciò, che lo straniero di solito parte da una situazione di maggior svantaggio, la tendenza è addirittura invertita.

«La difesa del nostro Stato non passa solo attraverso la giustizia sociale»
ha puntualizzato a voce Chiara Saraceno durante la presentazione pubblica del rapporto. «Gli stranieri sono la esemplificazione estrema della scarsa mobilità sociale prodotta da diversi fattori, primi fra tutti la domanda di lavoro poco qualificato e l'origine famigliare. Insomma, l'origine sociale è tra i fattori più predittivi della futura collocazione dell'individuo nel perpetuarsi di meccanismi che riproducono le diseguaglianze».

Maurizio Bongioanni

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