A Genova i ciechi possono vedere grazie a una start-up

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 08 Set 2015 in Approfondimenti

StagistiDalla tesi di laurea alla start-up per produrre un apparecchio che permette ai non vedenti di “osservare” il mondo che li circonda, rendendo ascoltabile l'invisibile, come recita uno dei motti della società. L'azienda si chiama Horus Technology, un nome che richiama il dio egizio che nella scrittura geroglifica veniva rappresentato con un occhio.

A fondarla sono due 24enni, Saverio Murgia e Luca Nardelli. Originario di Savona il primo, di Trento il secondo, si sono conosciuti sui banchi della facoltà di Ingegneria dell'università di Genova. Per un periodo sono stati coinquilini e hanno condiviso la tesi per la laurea triennale. «L'argomento», ricorda Murgia, «era proprio la visione artificiale». Anche se l'idea è nata per strada: «un giorno abbiamo incontrato un cieco che doveva attraversare, ma non riusciva a farlo a causa di un cantiere. Ci ha spiegato che per orientarsi utilizzava gli angoli degli edifici, costruendosi una mappa mentale. Non avevamo mai riflettuto su questa difficoltà, ma è stato come se scoccasse una scintilla: se eravamo riusciti a dare la vista ad un robot, come avevamo fatto per la nostra tesi di laurea, avremmo potuto restituirla a chi l'ha persa o non l'ha mai avuta».

Non si tratta di miracoli, né di operazioni chirurgiche. Il “segreto” sta nella tecnologia.Stagisti «Il nostro apparecchio è composto di due parti», spiega Murgia. La prima «è quella indossabile, che è dotata di sensori, di un meccanismo di conduzione ossea e di telecamere, collegata via cavo ad un'unità di elaborazione dotata di batteria, delle dimensioni di un cellulare». I sensori permettono alla macchina di «percepire il mondo esterno, analizzarlo e fornire delle informazioni all'utente». Al quale basta chiedere per ottenere risposte. Le richieste passano attraverso la seconda parte dell'apparecchio, una cuffia dotata di auricolare che si indossa. «Diciamo che si tratta di un'assistente personale in grado di vedere: chi lo utilizza può chiedere dove sono le strisce pedonali, qual è il colore di un semaforo. Ma anche di descrivere una foto o di leggere un'etichetta al supermercato».

Nelle previsioni, il prodotto arriverà sul mercato a metà del prossimo anno e avrà un prezzo «inferiore ai 2mila euro, stiamo cercando di ridurlo il più possibile: piuttosto che guadagnare tanto su poche vendite, vogliamo rivoluzionare il modo con cui chi non vede si relazione con un mondo che non è progettato per essere accessibile a queste persone». Attualmente sono stati realizzati diversi prototipi, che vengono testati in collaborazione con RP Liguria, associazione che si occupa dello studio sulla retinite pigmentosa. «Stiamo facendo provare il nostro device ai loro associati, che poi potranno liberamente decidere se acquistarlo». Non a caso Horus Technology è una start-up innovativa a vocazione sociale, una fattispecie per cui la legge prevede maggiori benefici fiscali sugli investimenti rispetto a quelli già garantiti alle “semplici” start-up innovative. «In un primo momento (l'azienda è stata fondata nel 2014, ndr) non avevamo i requisiti, ma dopo le modifiche introdotte a gennaio di quest'anno sì e allora abbiamo colto l'occasione. Se infatti prima la denominazione era riservata solo alle realtà che operavano direttamente nell'assistenza sociale, ora possono accedere anche quelle che producono un dispositivo tecnologico. Bisogna "solo" rendicontare e dimostrare l'impatto sociale che si produce».

StagistiOggi Horus Technology ha un capitale sociale di 500 euro, ma «tra premi, programmi di accelerazione e campagne di crowdfunding siamo arrivati a 150mila euro». Tra i principali premi ricevuti ci sono 25mila euro ottenuti dopo che l'azienda è stata selezionata da Tim-Working Capital, mentre altri 15mila sono arrivati partecipando all'Eit-Ict Labs Idea Challenge. Inoltre 30mila euro sono stati raccolti grazie ad una campagna di crowdfunding. Soldi che «utilizziamo per lo sviluppo del prodotto e per i costi in generale. Mentre per le spese legali abbiamo scelto la formula del work for equity». Gli avvocati vengono cioè pagati con una quota societaria. Il denaro raccolto serve anche per pagare gli stipendi: «io e Luca lo prendiamo da luglio, ma poi ci sono i nostri collaboratori, che sono saliti a bordo quando avevamo i fondi per pagarli. Ci è sembrato il minimo visto che gli abbiamo chiesto di trasferirsi (la sede operative è a Genova, ma c'è già un ufficio a Milano, ndr) e non ci pareva giusto chiedere loro di condividere il rischio al 100%». In Horus Technology, oltre ai due fondatori, ci sono due persone a tempo indeterminato, che sono state assunte grazie al Jobs Act: «Senza questa riforma avremmo assunto lo stesso, ma probabilmente ci avremmo messo più tempo e avremmo inserito in azienda meno persone. Oltre ai due assunti abbiamouno studente universitario che lavora durante il fine settimana con un contratto di collaborazione. E una tirocinante curriculare che sta svolgendo un tirocinio di tre mesi con un rimborso spese di 350 euro al mese, ma con l'obiettivo di trasformare questo rapporto in un lavoro».

Con questi argomenti la start-up ligure è alla caccia di un partner industriale, che permetta di avviare entro la prossima primavera la produzione di questo apparecchio che vuole cambiare in meglio la vita dei non vedenti.

Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it 

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