L'assessore al lavoro della Campania: «Il Jobs Act da solo non basta, ci vogliono i fact»

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 14 Feb 2015 in Interviste

Se tutti parlano di Jobs Act lui sdogana provocatoriamente un personalissimo neologismo: Jobs f(Act). Questo il titolo del libro dato alle stampe pochi mesi fa da Severino Nappi, assessore al Lavoro della Regione Campania. Testo in cui espone senza mezzi termini la sua idea: meno regole e burocrazia e più investimenti e incentivi allo sviluppo. La Repubblica degli Stagisti ha provato a capire dall’autore come tutto questo possa essere realizzato in Italia e perché a suo avviso il Jobs Act non può essere l’unico rimedio ai problemi del nostro mercato occupazionale.

Nel libro afferma che le riforme degli ultimi quattro anni hanno «toppato» perché focalizzate  sul contratto di lavoro individuale e responsabili di aver ulteriormente complicato il mare magnum della nostra legislazione del lavoro. Perché è tutto sbagliato?

Perché oltre all’inutilità di intervenire sul contratto individuale e non su quello collettivo trovo inutile e talvolta dannoso operare sulle regole senza alcun tipo di intervento sugli investimenti e sullo sviluppo. Sulle leggi e sulle tipologie contrattuali potremmo discutere per ore e ognuno, ovviamente, avrebbe la sua ricetta, ma gli investimenti, specie al Sud, sono i grandi assenti degli ultimi quarant'anni. E poi francamente sono stufo delle riforme a costo zero. Ecco perché ho auspicato provocatoriamente nel titolo un ritorno ai «fact». 

Anche il Jobs Act ha un focus su un contratto individuale, quello a tutele crescenti, e a suo avviso non guarda alle condizioni e aspettative del mercato. Fornire degli sgravi alle aziende che assumono non è però comunque un modo per dar loro supporto e provare a ripartire? 

Quello degli incentivi alle assunzioni è un altro falso mito. Vi racconto un aneddoto che poco ha di simpatico e divertente. Come prima misura di contrasto alla crisi, la Regione Campania già nel 2010 aveva fissato diverse risorse sugli incentivi alle aziende in caso di assunzione. Non siamo andati oltre i dati noti. Aldilà di qualche caso patologico di sfruttamento della misura fine a se stessa, molte aziende non  erano interessate all’incentivo, piuttosto volevano  fossero date delle condizioni per la sopravvivenza. E un’azienda sana, per sopravvivere, non ha bisogno soltanto dell’incentivo all’assunzione del lavoratore ma di tante altre garanzie, innanzitutto a tutela del lavoratore stesso. Poi questi incentivi li ha messi anche in campo il Governo, che poco è riuscito a fare rispetto alle Regioni, tant’è che adesso li ha riproposti alle regioni stesse. 

Un po'di tempo fa ha affermato che quelli campani sono «giovani concreti che cercano di costruirsi da soli il proprio futuro, privilegiando la flessibilità e mettendosi in proprio». Più che una scelta non si tratta di una strada legata a mancanza di alternative, laddove con un 47% di disoccupazione i giovani hanno rinunciato al posto fisso?
La rinuncia al posto fisso, come dimostra anche un’indagine che ho diffuso di recente, è dettata da un cambiamento di mentalità di giovani che osservano il mercato che, a sua volta, si muove e muta. E questa coscienza c’è molto più al Sud che al Nord. Poi i dati sull’autoimprenditorialità che abbiamo raggiunto anche con la misura regionale del microcredito ci dicono che i nostri giovani non sono proprio dei bamboccioni o degli sfaticati ma che spesso, partendo proprio da questo micro-prestito di 25mila euro, si sono rimboccati le maniche e un lavoro se lo sono inventato. 

A proposito di occupazione la Campania ha il 14% di iscritti sul totale alla Garanzia Giovani e lei ha dichiarato che oltre 5mila persone hanno trovato lavoro grazie a essa. 
Il monitoraggio informale condotto dalla nostra testata non sta però facendo emergere risultati confortanti…
I dati sono mensilmente pubblicati attraverso un bollettino diffuso dall’Arlas, l’Agenzia regionale per il lavoro. Non si tratta di tendenze, ma di dati reali e pubblici. Lì ci sono anche tutti i settori, come pure tutte le iscrizioni dei ragazzi, classificati per età, sesso, provenienza e tipologia di candidatura, così come le iscrizioni delle aziende per tipologia di vacancies. Naturalmente concordo sul fatto che occorrerebbe far molto di più e molto più in fretta. Ma la Garanzia Giovani è anche lotta contro la burocrazia, i tempi morti, lo scarso entusiasmo di alcuni funzionari pubblici ad andare oltre l’ordinario. Però per questo occorre uno sforzo corale e una presa di coscienza. Anche per questo pubblichiamo i dati. Tutti possono vedere dove le cose marciano di più e dove ci sono rallentamenti. 

Nel libro spiega che una delle strade per migliorare la ricerca di lavoro potrebbe essere quella di creare un'agenzia federale che sfrutti i fondi comunitari destinati alle regioni. Ci sono sviluppi sul tema? 
Il Governo sta lavorando a questa agenzia unica che, secondo me, deve in qualche modo essere collegata anche al territorio e fare da raccordo tra le regioni. Al momento siamo ancora in una fase embrionale in quanto le politiche del lavoro, in base alla riforma del titolo V, hanno competenze frammentate tra lo Stato centrale, le Regioni e, nel caso dei centri per l’impiego, ancora alle Province. Ragion per cui bisogna capire come il Governo intenderà muoversi in concomitanza con la riforma costituzionale che pure riguarderà un riassetto degli uffici provinciali. Quali competenze in materia di lavoro deciderà di lasciare in capo alle Regioni e quali conservare in mano allo Stato. In base a questo, e in tempi mi auguro rapidissimi, si definirà anche il ruolo dell’Agenzia unica nazionale. Su questo tema posso solo dire che la posizione delle Regioni è molto chiara e che, con i colleghi delle altre Regioni, in sede di Commissione stiamo elaborando una serie di proposte che stiamo sottoponendo di volta in volta sia al Ministro Poletti sia alle preposte Commissioni parlamentari. 

Lei propone una rivisitazione del motto degli anni 70 in «lavorare meglio, lavorare tutti», cercando di favorire la flessibilità. Ma è più  colpa delle aziende che non riescono a farlo o del fatto che non ci sia adeguata preparazione a questo tipo di situazioni da parte del lavoratore?
Ritorniamo al tema del rapporto tra  contratto individuale e contratto collettivo. Lavorare meglio passa necessariamente per un riassetto a livello contrattuale, a volte tutoriale o aziendale, cosa che abbiamo fatto in Campania più volte, salvando molte aziende dalla chiusura e comunque scongiurando numerosi licenziamenti. Solo che anche questo riassetto è complicato perché per farlo ci vogliono molte ore di confronto, a volte nottate intere, trattative sindacali con le aziende, con le delegazioni dei lavoratori, che nel tempo della eliminazione dei corpi intermedi sembrano a dir poco passate di moda. Per me restano invece l’unica strada possibile.

Gli ultimi dati di dicembre sull'occupazione sono meno negativi dei precedenti. Quali sono le sue previsioni per il prossimo anno, in vista anche dell'approvazione della normativa sul contratto a tutele crescenti e degli effetti delle altre disposizioni previste dal Jobs Act?
La partita si gioca sulla fiducia e su molte altre cose. Lo ripeto, il Jobs Act da solo non è risolutivo. E anche i contenuti del Jobs Act di per sé sono insufficienti. Solo con un serio piano di investimenti si potrà far risalire l’occupazione e, di conseguenza, i consumi. Smettiamo di pensare esclusivamente ai numeri e alle regole finanziarie, per giunta con animo burocratico, e stimoliamo la crescita e l’occupazione. Ha funzionato in America dopo la grande depressione e sta funzionando di nuovo ora. Perché non possiamo faro anche noi?

Chiara Del Priore

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