Riforma Fornero, cosa non va secondo i sindacalisti esperti di precariato

Ilaria Costantini

Ilaria Costantini

Scritto il 02 Apr 2012 in Interviste

La promessa della vigilia era di ampliare le tutele dei lavoratori meno garantiti, distinguendo tra buona e cattiva flessibilità. Ora che la riforma Fornero è nero su bianco, almeno nelle sue linee guida, la Repubblica degli Stagisti ha chiesto a tre sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil di commentare il testo uscito dal tavolo della trattativa, indicando cosa e come può essere migliorato per quanto riguarda i contratti più diffusi tra i giovani italiani. La responsabile delle politiche giovanili della Cgil Ilaria Lani, il segretario generale Ivan Guizzardi della Cisl-Felsa (Federazione lavoratori somministrati, autonomi e atipici) e la segretaria generale di Uil Temp Magda Maurelli hanno idee piuttosto chiare in proposito.
«Per la prima volta dopo 10 anni si assiste ad un'inversione di tendenza per quanto riguarda l'attenzione ai giovani» ammette Ilaria Lani, classe 1978 [nella foto]. «Ma la riforma non è così incisiva come speravamo e presenta falle importanti». Sul fronte dei contratti è ormai chiaro che il governo Monti abbia rinunciato all'idea di sfoltire la platea delle tipologie attualmente esistenti; ma le novità in arrivo non sono comunque di poco conto. «È probabile che nei prossimi anni si arrivi ad una sostanziale diminuzione dei contratti atipici» ipotizza il sindacalista della Cisl Ivan Guizzardi, 59 anni. «I vari strumenti contrattuali verranno finalmente utilizzati per la loro valenza propria e non più per ragioni legate all'abbattimento del costo del lavoro».
Tra i primi obiettivi del testo Fornero c'è in effetti quello di contrastare il ricorso alle collaborazioni a progetto che in troppi casi le imprese utilizzano oggi in sostituzione del contratto di lavoro dipendente. Adesso il cocopro dovrebbe avere non solo una definizione più stringente (non una «mera riproposizione dell'oggetto sociale dell'impresa committente»), ma si prevede anche una limitazione dell'istituto a mansioni non prettamente esecutive e ripetitive, o comunque non identiche a quelle svolte nella stessa impresa da lavoratori subordinati.

«Ho seri dubbi sulla ridefinizione del progetto, che resta incerta come e più di prima» commenta in proposito la sindacalista di Uil Temp Magda Maurelli, 42 anni, sgombrando anche il campo da eventuali equivoci rispetto alla stabilizzazione del falso collaboratore. «Non esiste alcun automatismo: l'onere di provare che si svolge un lavoro dipendente resta in capo al lavoratore», che dovrebbe fare causa all'azienda.
A detta di Guizzardi per il datore di lavoro il vero disincentivo a stipulare un contratto atipico consisterà tuttavia nel previsto «innalzamento della quota destinata alla previdenza del lavoratore». Da qui al 2018 infatti le aliquote per gli iscritti alla gestione separata Inps dovrebbero salire progressivamente dall'attuale 28% al 33% e, dato che per i collaboratori i 2/3 della quota sono a carico del datore di lavoro, l'attuale convenienza ad assumere un parasubordinato al posto di un lavoratore subordinato potrebbe in effetti venire meno.
L'idea è quella di utilizzare il costo del lavoro come leva per prevenire gli abusi, consentendo al tempo stesso all'atipico di versare una quota di contributi che in futuro potrà garantirgli una pensione più dignitosa. Ma Ilaria Lani è meno ottimista del collega della Cisl, e convinta che la nuova norma potrebbe avere pesanti ripercussioni sulle già leggere buste paga dei parasubordinati. «Per riassorbire la spettanza dei 2/3, il datore di lavoro potrebbe semplicemente ridurre il compenso del collaboratore. Per questo sarebbe necessario fissare una soglia minima di compenso agganciata ai minimi salariali previsti dai contratti per pari professionalità».
A fare le spese dell'aumento delle aliquote saranno a maggior ragione le partite Iva che, vere o false che siano, i contributi pensionistici li pagano tutti di tasca propria. Per distinguere l'autentico libero professionista da chi invece potrebbe essere costretto dal datore di lavoro a figurare come collaboratore a partita Iva, il governo intende tuttavia introdurre tre criteri stringenti. Se si accerta infatti che il 75% dei compensi annuali del lavoratore proviene dalla stessa impresa, che la prestazione ha avuto una durata complessiva di più di 6 mesi nell'arco dell'anno e che la persona svolge sempre il suo lavoro presso la stessa sede, allora il committente potrebbe essere costretto ad assumerla.
Resta però da capire come e soprattutto chi effettuerà i controlli necessari per rendere efficace la norma. «Credo che l'Inps e gli ispettorati del lavoro siano chiamati a svolgere questa funzione» afferma Guizzardi. «Giocare tutto sui controlli ex post non è una rivoluzione» replica però la Lani, pensando anche alle carenze di organico che scontano oggi i servizi ispettivi. «Anche se l'ispettore dovesse accertare un'irregolarità,  l'assunzione a tempo indeterminato non scatta certo automaticamente, al limite potrebbe esserci una multa per il datore di lavoro. Per questo sarebbe molto meglio prevedere controlli ex ante, ad esempio sulla dichiarazione dei redditi del lavoratore
».
Grazie a questo approccio sanzionatorio rispetto all'abuso dei contratti atipici, il governo mira anche a valorizzare l'istituto dell'apprendistato come tipologia prevalente di ingresso dei giovani sul mercato del lavoro, ottenendo su questo punto il pieno accordo dei sindacati confederali. «Il destino del lavoratore passa per il destino dell'impresa» osserva Magda Maurelli, «e con l'apprendistato ci sarà sia un significativo vantaggio fiscale per datore di lavoro che la possibilità per il lavoratore di imparare un mestiere spendibile sul mercato». Ma per i futuri apprendisti c'è un vantaggio ulteriore, che la riforma nega invece a tutta la platea degli atipici: ovvero la possibilità di accedere alla nuova assicurazione sociale per l'impiego (Aspi). Sul punto si sono concentrate le critiche più aspre al progetto di riforma da parte dei precari, delusi dalla promessa di introdurre un sistema più universale di ammortizzatori. Fatta eccezione per gli apprendisti e per gli artisti «non c'è stata nessuna estensione, né per quanto riguarda i criteri di accesso, né per quanto riguarda le tipologie contrattuali atipiche» rileva la sindacalista della Cgil. Per accedere all'Aspi bisognerà infatti avere non solo un contratto di lavoro subordinato, ma anche due anni di anzianità contributiva e 52 settimane di lavoro nell'ultimo biennio: esattamente ciò che serve oggi per accedere all'assegno di disoccupazione che, per molti giovani, resta appunto un miraggio. Idem per la mini-Aspi, corrispondente grossomodo all'attuale disoccupazione con requisiti ridotti. «Partiamo da una situazione in cui gli ammortizzatori sono pressoché inesistenti per gli atipici» invita a riflettere Guizzardi, «oggi ci sono margini maggiori per andare a costruire nuove tutele». Per il momento tuttavia l'unico paracadute per i collaboratori è l'impegno a «rafforzare e portare a regime il meccanismo una tantum» introdotto nel 2007 dal ministro Sacconi e riproposto dalle attuali linee guida. Con la speranza che «rafforzare» significhi soprattutto prevedere criteri di accesso meno rigidi rispetto a quelli richiesti sinora: «A fronte di 34.185 domande presentate fino al 2010 dai collaboratori, solo 9mila sono state accolte» fa notare infatti la Maurelli. Che alla riforma Fornero rimprovera anche una carenza di investimenti sulle politiche attive per il lavoro. «Una persona che esce dal mercato ha soprattutto l'esigenza di ricollocarsi rapidamente. Punterei di più sulla creazione di una rete di servizi pubblico-privato in grado di accompagnare il lavoratore fuori dalla disoccupazione».
Resta ora da vedere come le norme contenute nella bozza di riforma verranno tradotte nel disegno di legge che a breve approderà in Parlamento, anche per quanto riguarda la parte relativa allo stage. Sul punto, la previsione di future linee guida nazionali contenuta nel testo attuale segna un apparente arretramento rispetto alle intenzioni espresse nei giorni scorsi dal ministro di abolire gli stage post formazione e di contrastare quelli gratuiti. «Il testo di legge non potrà riproporre norme così vaghe sullo stage» conclude Ilaria Lani, «confidiamo che sulla materia si riapra al più presto un tavolo con le Regioni e si arrivi finalmente ad una soluzione definitiva».

Ilaria Costantini


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