Post referendum e centri per l'impiego, come affrontare l'emergenza

Francesco Giubileo

Francesco Giubileo

Scritto il 10 Dic 2016 in Editoriali

centri per l'impiego Garanzia giovani leggi regionali su stage

Il quadro post-refendum pone il tema delle politiche attive del lavoro e servizi pubblici del lavoro: un enigma. Vediamo le poche cose certe:  le coperture previste in finanziaria dovrebbero garantire gli stipendi degli attuali dipendenti dei centri per l'impiego e un piano di rafforzamento di 1000 unità a tempo determinato (provenienti probabilmente dagli esuberi di altri settori della Pubblica amministrazione, come i vigili del fuoco).

Rimane confermata la concorrenza in tema di politiche attive del lavoro tra Stato e Regione, ovvero la presenza in Italia di venti modelli diversi tra accreditamento e progetti di politiche del lavoro. Questo fatto entra direttamente in conflitto, un domani, con la generalizzazione dell’assegno di ricollocazione, mentre è opinione di chi scrive che non ci dovrebbero essere problemi con la sua sperimentazione, dato che si tratta di un numero contenuto di destinatari .

Il vero problema sono le Province, troppo dissestate economicamente per tornare ad essere titolari della delega sul lavoro; inoltre, in assenza della definizione di Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) da realizzare su tutto il territorio nazionale, esse non possono neppure rivendicare la garanzie economiche per garantire tali prestazioni.

A questo punto bisogna essere pragmatici: cosa fare data la situazione appena descritta? È probabile che una pianificazione di medio periodo inevitabilmente si fonderà su un ruolo centrale delle Regioni, non solo per supplire alle carenze economiche delle Province, ma soprattutto come anello di congiunzione con l'Anpal.

Proprio il fatto che rimanga la concorrenza tra Stato e Regioni nel realizzare le politiche del lavoro significa che il “potere” decisionale di Anpal sarà piuttosto limitato e affidato ad una sorta di “geometria variabile”: in certi casi assumerà un ruolo chiave per il riassetto regionale dei centri per l’impiego e dell’erogazione delle politiche, mentre in altri sarà quasi assente. In ogni caso  dovrà essere concordato con le Regioni un eventuale accordo “quadro”.  Inoltre, è certo che l’esito negativo del referendum rende ancora più  difficile l’attuazione del decreto legislativo 150/2015: si rischiano numerosi ricorsi e lo stallo su molte questioni, a partire dalla mobilità di parte dei dipendenti Isfol.

Bene, queste sono le buone notizie; passiamo a quelle cattive. Lo stato attuale dei Centri per l’impiego non è pessimo: è terrificante. D'altronde si tratta di strutture completamente abbandonate a se stesse, mai sostenute negli ultimi vent’anni (da qualsiasi governo di qualsiasi colore politico) dove, soprattutto per complicità e influenza dei sindacati, si è sempre preferito destinare le risorse a sussidi e anticipi di pensione piuttosto che a programmi di ricollocazione.

I dipendenti attuali hanno una consolidata esperienza, ma spesso non adeguata competenza perché rispetto al passato servono nozioni tecniche di analisi dei dati, di psicologia, di analisi comparativa di modelli internazionali ed una elevata padronanza della lingua inglese. Non ne faccio una colpa agli attuali dipendenti – ad eccezione dell’esercito di lottizzati LSU della Sicilia – perché al momento di essere assunti erano assegnati a compiti completamente diversi da quelli attuali e in questi anni non si è mai speso un centesimo per garantirne un adeguato aggiornamento professionale.

Tornando all’accreditamento e al ruolo delle Regioni nella programmazione, qui il rischio di avere un’eccessiva burocratizzazione è evidente, senza la possibilità di una “cabina” di regia potrebbe produrre una vera e propria anarchia – come si è in parte visto con il programma Garanzia Giovani, dove molte regioni non sono state in grado di gestire la programmazione nazionale.

La soluzione più plausibile per evitare errori del passato e sbloccare una situazione che rischia uno stallo a tempo indeterminato dunque non può che essere quella di un modello a “geometrie variabili” adattato ai singoli contesti territoriali. Chi scrive non è a favore di un modello di questo tipo, però è necessario essere pragmatici e valutare effettivamente quello che si può fare nei prossimi mesi, con le risorse e gli spazi normativi messi a  disposizione.

Francesco Giubileo*

*esperto di servizi per l'impiego e consigliere di amministrazione di Afol Metropolitana


Community