Laureati in fuga: i giovani italiani vogliono partire. Però sognando di riuscire a tornare

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 23 Gen 2012 in Approfondimenti

Sempre più frequenti nelle università italiane gli eventi di orientamento dedicati alle opportunità all'estero. stageUno dei più recenti è stato Europlacement: il mondo del lavoro in Europa”, giovedì scorso alla facoltà di Economia della Sapienza nella piccola aula dell’Eurodesk: un seminario incentrato, oltre che sui vari programmi della Commissione europea (i soliti noti Erasmus e Leonardo), sul sistema di certificazioni delle competenze applicabili nella Ue.
La
Repubblica degli Stagisti è andata a sentire la conferenza, 
- non proprio affollata: una ventina di persone in tutto, compresi gli addetti ai lavori - mescolandosi al pubblico e provando sopratutto a sondarne gli umori: per capire cosa spinge davvero gli studenti a prendere la decisione di partire per l’estero. Cosa ci sia insomma alla base della decisione di abbandonare la patria e perché l’Europa ‘tiri’ ancora così tanto. Ne è emerso che non sempre la fuga dei cervelli è dovuta semplicemente alle scarse prospettive di lavoro del Belpaese.
A volte la voglia di partire scatta per ragioni diverse, magari legate al desiderio di conoscere nuove realtà.
È il
caso di Domenico, 26enne neolaureato in Ingegneria: come una buona fetta dei partecipanti interpellati sul gradimento del meeting tramite questionario si dice soddisfatto dell’evento «perché ha dato informazioni utili». E per la partenza? «Io ci spero, ho fatto l’Erasmus e condivido il discorso sull'apertura di mente che danno queste opportunità». Aprire i propri orizzonti dunque, perché l’Italia in qualche modo sta stretta. Anche se il desiderio di tornare resta: «So che un’esperienza all’estero fa curriculum, e poi potrei tornare in Italia e rivendermela… Certo se cambiassero le cose sarebbe più invitante il ritorno». E il paese di destinazione? «Il mondo», esclama Domenico entusiasta.
Anche Anna, 28 anni, laureata da tre anni in Giurisprudenza alla Sapienza, è molto soddisfatta dell’evento. «Io vorrei partire perché sono già stata negli Stati Uniti e sono tornata entusiasta. Quello che volevo era conoscere opportunità di dottorato dall’Italia in America o Inghilterra, comunque paesi anglofoni». E torneresti? «Sì, l’ideale sarebbe avere una buona formazione all’estero per poi tornare in Italia più competitivi». Non è l’unica ad avere alle spalle esperienze di studio o lavoro all’estero, e come altri in questo caso tende a ripartire.
stageC’è poi Sara, anche lei 28enne, laureata in Economia: «Io ho già lavorato all’estero. Partire è un ulteriore passo che vorrei fare ma non perché penso che in Italia non ci sia lavoro. Non sono un cervello in fuga, ritengo solo che potrebbe essere una cosa in più».
La sensazione è che si tratti di persone che, una volta sperimentate le possibilità che offrono altri paesi, fanno fatica a re-integrarsi nel nostro. L’Italia, f
orse percepita come un paese ormai senza sbocchi, non basta più. Per questo i ragazzi vogliono allontanarsene, anche se solo per un periodo.
Oppure per la questione delle lingue straniere. Valentina, 24 anni, studentessa di Ingegneria è ancora indecisa. «Non so ancora se partire, sto valutando le varie opportunità e tra queste c’è quella di andare all’estero e imparare una ingua». Sulla stessa linea si trova Masina, 26enne, laureata in Economia aziendale e decisa a migliorare l’inglese. «Vorrei partire in primis perché mi rendo conto di non saperlo. E poi anche per fare un’esperienza e vedere cose diverse dall’Italia».
Poi c’è chi non si accontenta e vuole scovare l’opportunità migliore. Emanuele, 24 anni, fresco di laurea in Ingegneria: «L’esperienza di oggi è stata sicuramente interessante. Ha descritto be
ne le opportunità per andare all’estero. Ma ci devo pensare prima, vedere se si può avere un discreto posto da subito, possibilmente vicino a quello che voglio io». In Italia le possibilità scarseggiano? «Sto valutando, voglio prima accertare questa cosa, anche se penso sia molto probabile». Insomma il disincanto in questi ragazzi c’è, anche se unito a una buona dose di determinazione. Sanno che un lavoro qualsiasi lo troverebbero anche restando a casa, ma perché accontentarsi?
Molto eloquente del resto l’intervento di Carlo Magni, coordinatore progetto Soul, che, nel mezzo di un discorso sull’inglese come conditio sine qua non per il mondo del lavoro in Europa come in Italia, dichiara tutto il suo scetticismo: «Stiamo dando un’immagine falsata. È tutto più complicato, non c'è solo l'inglese e la situazione generale è molto più complessa di come la state dipingendo… Ricordiamoci che per quanto riguarda l'Italia, l’Istat ci parla di più di un 40% di giovani che cercano lavoro appellandosi a conoscenze». L’applauso unanime lo interrompe: i ragazzi ne sanno qualcosa.


Ilaria Mariotti


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