Maternità precaria: per avere un sussidio meglio essere ragazza madre

Giulia Cimpanelli

Giulia Cimpanelli

Scritto il 19 Ott 2012 in Interviste

«Perché la maternità, per una lavoratrice precaria, è come una malattia», con queste parole Martina Proietti,  giovane reporter che nel 2011 ha vinto il premio Ilaria Alpi con il reportage Maternità precaria, spiega la sua scelta di approfondire questo spinoso argomento in un video. Il premio ha regalato a Martina notorietà nel mondo del giornalismo: «Ho ottenuto tanta pubblicità e l'inizio, per una sconosciuta come me, di una specie di carriera avendo avuto modo di farlo vedere a molti giornalisti».
Martina Proietti ha 28 anni è romana e oggi è inviata del programma L'ultima Parola di Rai2. Maternità precaria non è il suo unico reportage: quest’anno ha infatti scritto e girato anche Emergenza Casa andato in onda su canale 118 RadioRadicale tv .
«Nel 2010, nel paese del Family Day, gli sportelli Politiche della famiglia consigliano alle ragazze in dolce attesa di non far riconoscere il proprio figlio al compagno, perché solo così potranno ottenere più punti nelle graduatorie per gli asili nido e per gli aiuti economici, questo è il succo di Maternità precaria», denuncia Martina.
Uno spaccato sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle donne incinte e sulla mancanza di garanzie e welfare per le mamme precarie. Un'investigazione in due puntate attraverso le esperienze di donne di età compresa tra i 25 e i 38 anni, felici per l'arrivo di un bimbo ma estremamente fragili dal punto di vista professionale, in dolce attesa ma con contratti di lavoro a progetto, in nero o vittime di licenziamenti senza preavviso. Giovani future madri alle prese con una società, quella italiana, dove la spesa a favore delle politiche del welfare sfiora appena l'1,2% del Pil, contro una media europea del 2,4% (dossier Mamme nella Crisi di Save the children, 18 settembre 2012). In Italia, infatti, a livello nazionale esiste solo il “Fondo nuovi nati”, una sorta di prestito con garanzia statale, pari a 5mila euro che lo Stato eroga alle famiglie con tasso agevolato. Soldi che devono chiaramente essere restituiti.

«La prima realtà sconvolgente l’ho riscontrata parlando con Regina, una delle protagoniste della mia inchiesta. Regina ha 29 anni, lavora come assistente nel sociale, specializzata nel seguire ragazzi autistici. Per le assistenti come lei ci sono contratti a progetto o prestazioni occasionali. Quando rimane incinta il suo datore di lavoro le dice che "è troppo incinta, la sua pancia è troppo grande" e non la riconferma. E allo sportello delle politiche familiari del comune di Roma le hanno detto che era difficilissimo ottenere sussidi e le hanno consigliato vivamente di non far riconoscere il bambino dal compagno così da ottenere i fondi statali per ragazze madri».
Quindi l’Inps alle precarie come Regina non assicura un sostegno economico in caso di maternità?
No, in teoria l’indennità c’è anche per le precarie che abbiano versato contributi di almeno tre mesi nell’anno precedente la gravidanza. La realtà dei fatti è che poi i requisiti richiesti sono così restrittivi che sono pochissime quelle che effettivamente la ricevono.
Esistono delle alternative all’Inps?
Sì, bisogna rivolgersi ai comuni e capire cosa garantiscono in caso di maternità alle precarie. Qui il problema è duplice: in primis quasi tutti i comuni offrono indennità ridicole, a Roma, per esempio, nel 2010 era 300 euro al mese per cinque mesi; in secondo luogo il primo requisito per riceverla è quasi sempre essere disoccupate.
Tutti i comuni le garantiscono?
Non è detto, dipende se hanno i fondi e se decidono di stanziarne a questo scopo. Spesso nei comuni più piccoli si può ottenere di più che in quelli più grandi, dove la richiesta è maggiore.
Esistono associazioni che assicurano forme sostitutive di indennizzo e sistemi di welfare per mamme precarie?
Sì, in particolare nelle grandi città. Io per esempio ho intervistato Vita di donna. Non garantiscono soldi perché non ne hanno neanche loro ma tutela legale, appoggio e informazioni utili. Purtroppo non basta. Ma molte mamme precarie desistono sia dal cercare di ottenere qualcosa dagli enti pubblici o dall’Inps sia dal rivolgersi a loro.
Perché?
Chi ha una famiglia alle spalle si appoggia a quella. Ed è vergognoso che ad oggi ci siano persone di 38 anni come Sabrina, che ho intervistato, che non possono permettersi un figlio se non con l’aiuto della famiglia d’origine. Lei era curatrice d’arte: niente contratti, solo collaborazioni occasionali. Un disastro. Ha deciso di non rinunciare alla gravidanza grazie all’aiuto di genitori e suoceri: ormai i nonni sono il welfare che lo stato non garantisce.
Insomma i nonni sono il welfare e la maternità una malattia, come è possibile in un Paese dell’Unione Europea, nel 2012?
Negli stati moderni la maternità dovrebbe avere un ruolo sociale, invece le mamme che ho intervistato mi hanno assicurato che aspettare un bambino è come essere malati. Si rischia di perdere il lavoro o se il contratto scade di non trovarlo più. Ma la cosa sconvolgente è che la maternità è considerata una malattia anche formalmente, per legge. Nel bilancio di stato, infatti, i costi per la maternità fanno parte di quelli per malattie e disabilità.
Ha intervistato anche donne che hanno effettivamente perso il lavoro a causa della gravidanza?
Sì, Elena è stata licenziata all’ottavo mese di gravidanza per cessione attività. Peccato che lo studio nel quale lavorava sia ancora aperto. E lei invece il lavoro non ce l’ha più.
Il suo reportage risale a due anni fa, cos’è cambiato oggi?
Nulla. Nel ddl Fornero si individuano delle buone linee guida: congedo parentale, revisione dell'articolo sul fenomeno delle dimissioni in bianco. Tutte cose che comunque erano già previste dalla legge 188 del 2007, poi abrogata.  Mi aspettavo che la riforma Fornero dedicasse un capitolo a questo tema e invece non l’ha affrontato. Sicuramente le cose si stanno muovendo in una direzione di più attenzione per il lavoro e per il lavoro femminile di conciliazione e diritti.  Ma il problema serio è comunque a monte. Si tratta di regolarizzare la situazione dei contratti atipici - cococo, cocopro -  e questo vale per tutti, soprattutto per le donne perché un paese che pensa alle donne pensa anche al futuro. Tali contratti non godono di alcuna tutela. E comunque anche se andiamo in una direzione giusta con il ddl Fornero,  siamo molto lontani dalle politiche del welfare europeo.

Giulia Cimpanelli

Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
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- Ma le lavoratrici precarie hanno diritto all'assegno di maternità?
- Inps: la dura legge dell'indennità di maternità alle lavoratrici precarie

 

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