Stage all'estero, Mae-Crui ma non solo: attenzione all'assicurazione sanitaria

Giuseppe Vespo

Giuseppe Vespo

Scritto il 26 Lug 2009 in Approfondimenti

Romina porta ancora sul volto i segni del suo stage: una cicatrice provocata da un virus, curato come un semplice herpes in una clinica di Chicago. Vincitrice di un bando Mae-Crui – il programma di tirocini del ministero degli Esteri in collaborazione con le università – da febbraio a maggio del 2009 è andata in stage all'Istituto di cultura italiano della terza metropoli statunitense. Lì ha contratto l'herpes zoster, meglio conosciuto come fuoco di Sant'Antonio: un virus, lo stesso della varicella, che attacca le cellule del sistema nervoso. Faccia piena di bolle, mal di testa martellante, occhi gonfi come palle: «Attenta perché può provocare la cecità», l'ha avvertita qualcuno su un forum italiano di medicina dove aveva cercato informazioni su quello che le stava accadendo. «Nessuno mi aveva detto che il mio periodo all'Istituto di cultura non prevedeva un'assicurazione sanitaria. E nel bando di partecipazione allo stage non c'era scritto. Così quando mi sono sentita male» racconta la ventiseienne «ho telefonato al direttore dell'istituto, che però non conosceva medici italiani che mi potessero visitare privatamente. Per fortuna una famiglia italiana conosciuta al consolato mi ha portato dopo qualche giorno in una clinica privata». Dove paga il conto (fortunatamente non troppo salato, considerando il sistema sanitario USA) di tasca sua.
Romina è una dei 10.210 stagisti partiti tra il 2001 e il 2008 per un'esperienza formativa all'estero attraverso i tirocini Mae-Crui: sessantasei atenei coinvolti in uno dei programmi di stage più richiesti tra i 15 gestiti dalla Fondazione Crui (Conferenza dei rettori delle università italiane) in collaborazione con enti e pubbliche amministrazioni. In questo caso, con il ministero degli Affari esteri (Mae, appunto): qui i tirocini (da tre a sei mesi) vanno dalla Farnesina, sede centrale del ministero, a ambasciate, consolati e istituti di cultura in giro per il mondo. Molti di questi stage avvengono fuori dall'Unione europea, ma per chi vince il bando non è prevista nessuna copertura sanitaria. E se tutti i cittadini dell’Ue hanno diritto all’assistenza in qualsiasi Stato membro si trovino e nei Paesi che fanno parte dello spazio economico europeo (See - Islanda, Liechtenstein e Norvegia), non è così quando si esce da quest’area.
Secondo la Fondazione Crui, che ci sia o meno l’assicurazione sanitaria dipende dalle singole università che propongono agli studenti lo stage e non dall’ente ospitante, ad esempio l’ambasciata, il consolato o per loro il ministero degli Affari esteri. E non ci sarebbe nessuna legge che obblighi chi propone uno stage ad offrire una copertura sanitaria ai partecipanti – mentre è prevista l’apertura di una posizione Inail per eventuali infortuni sul lavoro. Così, a sorpresa, nemmeno alcune università private come la Bocconi assicurano gli stagisti che mandano fuori dall’Europa.
Un problema di costi? Probabilmente. Racconta Luigi Somenzari della Fondazione CRT, Cassa di risparmio di Torino, che ogni anno spedisce circa settanta stagisti (con assicurazione) in giro per il mondo attraverso il progetto Master dei Talenti, che la spesa che loro sostengono per garantire l’assistenza sanitaria si aggira intorno agli undicimila euro all’anno: circa 160 euro a stagista. Troppi, probabilmente, per la maggior parte delle università (anche se è ragionevole credere che, su numeri dieci o venti volte superiori, il conto diminuirebbe). Gli atenei quindi scaricano anche questi costi sulle famiglie dei ragazzi, già gravate dalle spese di vitto e alloggio. Basta andare a dare un'occhiata alla sezione
«Interviste ai tirocinanti» sul sito Mae-Crui e leggere i primi commenti per capire che le spese sono elevate: Veronica, 24 anni, laureata in Lettere e filosofia, in stage all'Istituto di cultura de La Valletta, a Malta, dice: «Lo consiglierei dal punto di vista professionale, anche se richiede un impegno economico notevole», e Aldo, stessa età, laureato in Economia ed ex stagista presso la Camera di commercio di Barcellona, specifica: «Consiglierei a tutti di farla nel caso in cui si abbia alle spalle una università o una istituzione che finanzia questa esperienza perché vivere in una capitale (specialmente in un paese sviluppato) e lavorare full time senza essere pagati presuppone una notevole quantità di denaro».
«Chi viene da un certo tipo di studi» racconta Ilaria, di Foggia, che nel 2006 a 23 anni è andata ad Istanbul anche lei all'Istituto di cultura «tiene molto a fare un'esperienza di questo genere, a qualsiasi condizione». E aggiunge: «In Turchia per fortuna il costo della vita non era più alto che a Perugia, dove ho studiato: spendevo 700 euro al mese. In effetti, però, ora che ci penso quello dell'assistenza sanitaria non è un problema che mi ero posta ai tempi: fortunatamente non ebbi problemi di salute! Trovo comunque ancor più scandaloso che non sia previsto nessun rimborso spese».
Che poi lo stage sia utile o meno probabilmente deriva dal luogo e dall’ufficio in cui si va, oltre che dal periodo. «Dipende molto da come è organizzato il lavoro, se si arriva in un momento di "stanca" può anche capitare di trovarsi a non aver nulla da fare per giorni
» conclude Ilaria: «In generale, comunque, gli stagisti sono spesso sfruttati. E lo stage può trasformarsi, così, in una perdita di tempo e di denaro».

Giuseppe Vespo

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«Stage all'estero senza assicurazione sanitaria: le storie di chi ci è passato»

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