Legge elettorale, il giorno degli emendamenti sul voto fuori sede

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 11 Mar 2014 in Interviste

Il dibattito sulla legge elettorale è al centro della scena politica; ieri è stato il giorno degli emendamenti sulla parità di genere, clamorosamente bocciati alla Camera malgrado l'impegno delle deputate. Tra oggi e domani dovrebbero essere messi ai voti invece gli emendamenti sul cosiddetto "voto fuori sede", per permettere anche a chi è temporaneamente lontano dalla sua residenza di non perdere il diritto di voto. La Repubblica degli Stagisti ha dedicato la scorsa settimana un articolo di aggiornamento a questo tema, citando l'emendamento presentato dal deputato di Scelta Civica Pierpaolo Vargiu e cofirmato da dieci deputati del Partito Democratico, basato sul modello dell’advanced voting. Oggi approfondisce la questione con una intervista a Marco Meloni, deputato Pd da anni attivo sul voto ai fuori sede, primo firmatario di un altro degli emendamenti presentati in Parlamento su questo tema.

Il modo più giusto per permettere ai fuorisede di poter votare è quello dell'emendamento proposto dall'onorevole Vargiu?

stage lavoroNon credo. Dico però subito che non vorrei che fosse una concorrenza, perché ne ho presentato uno io che riprende una proposta di legge elaborata da noi del Pd ormai quasi un anno fa. Non è che non sia d'accordo con quell'emendamento, semplicemente sono dell'idea che dobbiamo predisporre una norma capace di essere approvata come parere dal governo, trattando quindi con l'esecutivo, e che sia una norma che funzioni: ossia che dia la possibilità di votare ai nostri fuorisede a partire da quelli residenti temporaneamente all'estero – cioè gli studenti e i lavoratori – e al contempo dia certezza del diritto e del procedimento elettorale, e sia realizzabile. Nella nostra proposta il meccanismo sarebbe quello di andare a votare presso le strutture diplomatiche e consolari, essendosi registrati prima. Il voto si proietterebbe sulla circoscrizione di appartenenza. Un meccanismo funzionale e funzionante, che assicura il risultato che vogliamo ottenere. Io considero un po' eccessive le estremizzazioni assolute per cui o si ottiene “tutto”, cioè che anche qualsiasi cittadino domiciliato in un luogo diverso dalla sua residenza in Italia possa votare, oppure è un fallimento. Quest'ultimo meccanismo si presta peraltro a fortissime obiezioni del ministero degli Interni, perché in pratica è un voto per corrispondenza generalizzato. Io credo che ci siano problemi molto seri ad adottare un meccanismo di quel genere proprio per la certezza del processo elettorale: c'è un tema di legalità che è di tutta evidenza, e di complessità organizzativa altrettanto grande.

Dunque la sua prima obiezione è legata all'utilizzo del voto per corrispondenza, che al momento è quello che viene utilizzato per gli italiani residenti all'estero iscritti all'Aire; l'altra obiezione è che sostanzialmente la proposta Vargiu, differentemente dalla sua, permetterebbe a una persona domiciliata a Roma ma residente poniamo a Reggio Calabria, di votare a Roma per corrispondenza.

Sì. Nella nostra proposta, oltre al cosiddetto "emendamento Erasmus", c'è comunque anche il cosiddetto "Emendamento fuorisede". Nel primo caso è previsto che si possa votare all'estero, non per corrispondenza ma recandosi nelle strutture diplomatiche e consolari con un'urna, con le stesse modalità di segretezza del voto espresso in Italia. Per quanto riguarda invece il voto in Italia, noi lo restringiamo ai fuorisede, nel senso che ci deve essere un albo certo di persone che possono usufruire di quella modalità.

Per esempio gli studenti universitari iscritti?

Esatto. Si tratta di una categoria più definita. Altrimenti, ripeto, si rischia di avallare un voto per corrispondenza generalizzato, una cosa molto complessa. Io sono residente a Cagliari, oggi sono a Roma, a chi lo dichiaro? Verrebbero messi in forte pressione i principi di segretezza del voto, di regolarità del processo elettorale, di certezza di espressione del voto da parte del titolare del diritto di voto. Secondo me dobbiamo fare le cose giuste e possibili per assicurare da un lato agli studenti e ai lavoratori temporaneamente all'estero e dall'altro ai fuorisede in Italia il diritto di votare. Dico già che sui fuorisede in Italia il parere del governo credo non sarà positivo: ci sono difficoltà di natura organizzativa, logistica e devo dire anche culturale. Ma voglio precisare che la battaglia su cui ci eravamo impegnati lo scorso anno in campagna elettorale è quella per il voto cosiddetto Erasmus, che si estende anche poi ai lavoratori, e io su quella spero che si possa ottenere un risultato positivo.

Ha avuto modo di confrontarsi su questo punto con il nuovo ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini?

Sì. Lei e il suo ufficio ci hanno assicurato un sostegno, eventualmente anche migliorando il testo secondo le esigenze che sono corrispondenti alla necessità di avere una sorta di albo degli aventi diritto all'esercizio del voto in questa modalità. Sia lei che il ministro delle riforme si stanno impegnando a risolvere delle obiezioni che vengono da altre strutture dello Stato e che lo scorso anno impedirono, come molti ricorderanno, l'adozione della norma prima della campagna elettorale.

Si riferisce sopratutto al ministero dell'Interno?

Sopratutto degli Esteri in questo caso, per quanto riguarda il voto Erasmus loro sono essenzialmente preoccupati di come assicurare la funzionalità delle strutture consolari, perché secondo questa modalità di voto sarebbero loro i riferimenti organizzativi.

Se questa cosa andasse in porto, si procederebbe a una uniformizzazione per cui anche i residenti Aire comincerebbero a dover andare a votare presso le strutture consolari, oppure rimarrebbero comunque due modalità di voto distinte?

Resterebbero due modalità distinte, e anche due destinazioni del voto e due sistemi territoriali. Gli iscritti Aire votano e continueranno a votare all'estero per le liste dei residenti all'estero, i temporaneamente residenti all'estero voterebbero nella loro circoscrizione italiana di residenza.

A livello parlamentare qual è la sua sensazione rispetto al favore che questi emendamenti trovano?

Non so dirlo. Non so quale sia il parere del governo su Vargiu, e voglio ripetere, io non sono contro quell'emendamento. Io voterò a favore del suo e lui voterà a favore del mio, spero bene. Rispetto all'emendamento che ho scritto io, sto chiedendo al governo di dare un parere favorevole. Sull'emendamento Erasmus mi pare che tutti i gruppi - li ho consultati - siano a favore. Sto cercando di fare in modo che questa non sia una battaglia politica da compiere a prescindere dall'esito, ma di raggiungere il risultato massimo possibile, e la possibilità dipende dalla volontà del governo in questo caso. Dal mio punto di vista so che se il governo darà parere favorevole al mio emendamento, tutti i gruppi mi sembra che siano favorevoli e pronti a votarlo, compresi Sel e Cinque Stelle.

Ieri gli emendamenti sulla parità di genere sono stati tutti bocciati, qual è la sua posizione?

Noi dobbiamo certamente trasferire nella legge elettorale nazionale i principi costituzionali stabiliti dall'articolo 51 sulla parità di accesso alle cariche elettive. Credo che si debba conciliare questo obiettivo con quello di restituire ai cittadini la libertà di scegliere i propri parlamentari. Per me è essenziale che gli uomini e le donne siano messi nelle pari condizioni per competere. Che si sia donna o uomo vale lo stesso, non dobbiamo accontentarci di una parità di genere “concessa”, attraverso la scelta effettuata da un capo partito, ma vorrei pari condizioni per competere. Quindi serve una parità di genere immessa in meccanismi di scelta degli eletti da parte dei cittadini. Imporre per legge un esatto numero di eletti pari di ciascun genere non è sufficiente, è la condizione minima se rimangono le liste bloccate. Siccome per ora ci sono liste bloccate, si può anche richiedere che ci sia una proporzione di uomini e donne nelle liste o fra i capilista. Ma il punto fondamentale è chi decide chi sono le donne. Non conta solo il genere, conta anche la persona. L'importante è costruire meccanismi che portino al risultato. Dove c'è la doppia preferenza di genere (col 50% dei candidati per ciascun genere), le donne sono sempre tra il 30 e il 50% degli eletti, in particolare nelle liste molto piccole. Quindi il risultato sarebbe anche migliore in questo caso, con in più l'enorme beneficio di avere la scelta da parte dei cittadini. La vera battaglia è trasferire nei meccanismi di scelta degli eletti da parte dei elettori le opportunità che consentano di raggiungere il risultato della parità di genere.

Si riferisce a stabilire per legge che ciascun partito debba fare le sue primarie, oppure è un invito a Renzi a rivedere l'accordo con Berlusconi rispetto alle preferenze?

In entrambi i casi, sia che ci siano le preferenze nelle liste, sia che ci siano primarie statali obbligatorie per legge –  quindi fatte nelle scuole, con le forze dell'ordine, con il ministero degli Interni che vigila – le liste composte al 50% da uomini e donne e la doppia preferenza di genere rappresentano un risultato certamente molto positivo rispetto alla composizione dell'assemblea che viene poi eletta. Ovviamente su questi punti come su altri l'accordo di Renzi e Berlusconi è  drammaticamente carente: e io penso penso che si debba combattere per migliorare la situazione.

Intervista di Eleonora Voltolina

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