Katia Scannavini: «Italia Lavoro non ha tutelato la mia gravidanza»

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 09 Nov 2012 in Interviste

Ha 38 anni, una laurea, un master e un dottorato di ricerca, ma dopo aver lavorato per diversi anni nel settore delle politiche del lavoro, non è stata ritenuta una risorsa valida su cui continuare a investire: Katia Scannavini è stata messa alla porta da Italia Lavoro mentre era incinta. Dopo il licenziamento è stata poi riassunta ma solo fino alla fine del contratto. «È qualcosa che ha segnato decisamente la mia esistenza» racconta «e ha rovinato un periodo così importante e delicato come quello della maternità». Oggi ha un contratto con un’organizzazione non governativa ma è in causa con Italia Lavoro per essere assunta a tempo indeterminato. «Tornare lì significherebbe riconquistare la dignità al lavoro troppo spesso dimenticata nel nostro paese». 


Dal 2006 al 2011 ha lavorato per Italia Lavoro: di cosa si occupava e che tipi di contratto ha avuto?
Sempre contratti a progetto: a volte durava un anno, il primo da febbraio del 2006 a febbraio del 2007, ma più avanti anche contratti di un mese, due, tre, quindi estremamente brevi che venivano di volta in volta rinnovati. I miei ruoli sono stati diversi, ma l’elemento fondamentale di quei sei anni è che intervenivo sulle politiche attive del lavoro: preparavo pacchetti formativi o possibilità per l’inserimento delle fasce deboli nel mercato del lavoro, quindi donne, neolaureati, over cinquanta. Italia Lavoro con me e attraverso tanti altri collaboratori a progetto, interni alla propria azienda, lavorava e metteva in atto politiche a favore dei precari esterni. Un paradosso nel paradosso.
In che sede lavorava e come era stata selezionata?
Lavoravo nella sede di Roma. Italia Lavoro ha cambiato nel tempo i metodi di reclutamento: io avevo fatto un colloquio con una persona delle risorse umane e con il capo del primo programma in cui ho lavorato. Sono stata presa nel 2006 in quel progetto che era appena partito. Poi sono cambiati i metodi selettivi con l'introduzione anche di prove scritte. Ho sempre dovuto fare, anche per l’ultimo contratto, una selezione, quindi test scritti e orali con cui sostanzialmente riattivavo il mio contratto.
Quanti dei suoi colleghi, entrati con lei nel 2006, sono oggi fuori da Italia Lavoro?
È molto difficile saperlo e questa è una delle caratteristiche di chi lavora a progetto: ha difficoltà a creare un gruppo comune. Posso dire che una percentuale considerevole è a casa e non è rientrata in Italia Lavoro. Mi dicono che basta camminare per i corridoi per rendersi conto che non c’è più nessuno.
L’azienda ha tagliato sui collaboratori perché deve ridurre le spese o perché il numero era superiore alle necessità aziendali?
Sicuramente l’azienda in questo momento ha necessità di avere meno spese, quindi la soluzione più rapida è lasciare a casa i lavoratori. Anche se questa è una delle scelte più semplicistiche che un addetto alla gestione di un’impresa possa applicare. Detto ciò se prendiamo in considerazione il fatto che io e altri colleghi siamo stati lasciati a casa lo scorso anno solo perché avevamo rivendicato dei diritti in modo molto semplice attraverso una lettera, questo la dice lunga sulle modalità con le quali si vogliono conservare certi tipi di collaboratori. L’azienda non vuole questioni o difficoltà nel gestire i lavoratori. Ha tagliato sicuramente per ridurre i costi ma le politiche di risparmio potrebbero essere anche altre.
Come previsto dal collegato lavoro lei aveva mandato all’azienda una lettera per tutelare la sua situazione precaria, quanti dei suoi colleghi che hanno fatto lo stesso sono stati licenziati?
Tutti e diciassette siamo stati lasciati a casa, poi siamo stati reintegrati dopo un incontro forzato con Sacconi. Nessuno però ha avuto i rinnovi man mano che i contratti scadevano. La maggior parte di queste persone ha attivato un procedimento legale e alcuni di questi colleghi sono tornati in azienda perché hanno patteggiato, come prevede la legge, la possibilità di rientrare con un contratto a tempo determinato per tre anni. Evidenziando anche che l’azienda sapeva che avrebbe potuto perdere molte di quelle cause altrimenti non avrebbe accettato proposte di questo tipo. Molti oggi sono in azienda ma il contratto scadrà nel 2014.
E l’incontro con Sacconi?
Un mese dopo, ma eravamo solo della sede del Lazio. C’eravamo sentiti con colleghi di altre sedi che non se l’erano sentita di venire a Roma: erano senza lavoro e avrebbero avuto delle spese che non potevano sostenere. Avevamo fatto volantinaggio la mattina sotto l’azienda cercando di farci ricevere, senza successo, dai responsabili. Saputo che Sacconi era a un convegno al Cnel, ci siamo andati insieme ad altri precari della pubblica amministrazione, di agenzie come sviluppo Lazio o Formez che sono in situazioni molto simili alla nostra. Una volta dentro abbiamo chiesto cortesemente di prendere la parola. Mi sono alzata proprio io (nella foto) per far vedere concretamente qual era la mia situazione, chiedendo a Sacconi di poter intervenire. L’ex ministro non è stato felice di questo nostro intervento. Disse che non avrebbe potuto fare niente su Italia Lavoro, ma alla fine intervenne perché era una situazione veramente sconveniente per il governo. Di lì a poco ci fece riassorbire dall’azienda che ci inviò un sms chiedendo di ripresentarci e di firmare una carta dove si sottolineava che il nostro contratto era di nuovo attivo fino a scadenza.
Crede che il suo licenziamento sia legato al fatto che era incinta?
L’azienda non ha mai detto una cosa del genere quindi a mia volta non posso affermarlo. Posso però dire che nonostante fosse a conoscenza della gravidanza non ha tutelato la situazione di maternità di una sua dipendente. Avevo mandato la richiesta di maternità chiedendo di poter lavorare, come fanno quasi tutti i collaboratori a progetto, fino all’ottavo mese e l’azienda mi ha licenziata al sesto. Anche laddove affermino che non è stata una sorta di persecuzione rispetto al mio stato, di sicuro non c’è stata tutela rispetto alla mia gravidanza.
La lettera di licenziamento è arrivata quindi molto prima della scadenza del contratto, se lo aspettava?
No, non credevo di poter essere lasciata senza tutele in una condizione di grande vulnerabilità come quella di una donna in stato interessante. Non mi sarei mai aspettata questa cosa anche perché non avevo diffidato l’azienda. Pensavo che il responsabile delle risorse umane mi chiamasse e avessimo possibilità di confrontarci rispetto a tutto il lavoro che avevo fatto in azienda. E poi la legge italiana sottolinea determinati tipi di tutele. Ma la risposta del braccio tecnico del ministero del lavoro è stata quella di mettere a casa una persona incinta. Per me è stata una doccia fredda. Ricorderò per sempre quel 6 aprile 2011, era un sabato mattina, arriva questa raccomandata, la apro: tre righe nere su un foglio bianco, fredde, lucide, dove si sottolineava che dal momento in cui avevo aperto quella busta veniva rescisso il mio contratto e non avevo più possibilità di andare in ufficio e di continuare la mia attività lavorativa.
Ha aperto una vertenza presso il tribunale del lavoro ed è alla seconda udienza: che cosa chiede e che tempi ci vorranno per una sentenza definitiva? 
Chiedo di essere reintegrata a tempo indeterminato. Perché come la maggior parte dei lavoratori a progetto di Italia Lavoro in realtà eravamo dipendenti, obbligati ad avere un orario come quello dei dipendenti, chiamati a fare molte più mansioni di quelle scritte sul contratto, soggetti a dover giustificare le nostre assenze. Quindi ho sempre vissuto, come tutti i miei colleghi, una situazione di lavoratore subordinato mascherato dietro un contratto a progetto. I tempi del tribunale del lavoro di solito sono abbastanza veloci. Tuttavia non so ancora bene quando sarà l’ultima udienza, però dopo questa ci sarà la terza definitiva.
È una vertenza individuale?
Per forza, perché i lavoratori a progetto non hanno possibilità di aprire vertenze collettive. C’è stato un vero e proprio smembramento della categoria: noi volevamo fare una vertenza di gruppo ma la legge non lo permette. Il lavoratore cocopro è assolutamente atomizzato e se vuol rivendicare dei diritti lo deve fare in totale autonomia. Ci siamo però organizzati per portare avanti una battaglia di ordine mediatico. Abbiamo tentato di rendere pubblica la nostra situazione. Sottolineando che in queste agenzie tecniche che spesso lavorano nella totale ombra rispetto all’opinione pubblica, negli ultimi tempi stanno uscendo fuori scandali legati alle agenzie delle regioni per Italia Lavoro o per il Formez o per Sviluppo Lazio, funziona nello stesso identico modo: c’è uno sperpero di denaro molto forte. E contemporaneamente c’è questo utilizzo scriteriato dei lavoratori. Abbiamo tentato di unirci per evidenziare le condizioni di lavoro alle quali siamo stati costretti a vivere. Detto ciò legalmente non abbiamo potuto presentarci come una collettività che denunciava un problema davanti a un giudice.
Quando sono state fatte le nuove selezioni, avrebbe potuto partecipare o c’erano clausole specifiche?
Teoricamente avrei potuto partecipare, in pratica non l’ho potuto fare perché avendo questo procedimento si sapeva perfettamente che l’azienda non mi avrebbe mai assunta. Del resto è capitato: altri colleghi che hanno da sempre lavorato come me per Italia Lavoro si sono candidati per delle posizioni che erano le loro fino al giorno prima e non sono stati neanche ammessi ai colloqui, dopo la prima selezione sui curricula. È un paradosso che una persona per 5-6 anni ha fatto proprio quel lavoro in quell’azienda e non riesca a superare lo scoglio della lettura del curriculum.
Ha un contratto di collaborazione con un’organizzazione non governativa fino al giugno 2013, dopo spera di tornare in Italia Lavoro?
Lo spero. È chiaro sono in una situazione abbastanza delicata: ho una figlia quindi non si va mai a dormire sereni la sera sapendo che a giugno scadrà il contratto e non devo badare soltanto a me stessa. C’è un’ansia di questo tipo e in cuor mio spero di tornare in Italia Lavoro, dove ho lavorato per tanto tempo avendo anche dei riconoscimenti rispetto alla qualità del mio operato. Detto ciò vorrei tornare lì per riconquistare una dignità dei lavoratori che ormai è sempre più schiacciata. L’idea che quanto mi è stato fatto possa avere una giustizia all’interno di un’aula di tribunale mi rinfrancherebbe molto proprio come cittadina, come lavoratrice e non ultimo come donna, visto quello che ho subito in un periodo così delicato della mia vita.
Ha avuto una bambina, sarà una donna del domani, cosa spera per lei e per il vostro futuro?
Spero che mia figlia non rimanga in Italia. Di avere in qualche modo la possibilità e l’opportunità di mandarla in un paese dove tutto quello che qui manca sia stato riconosciuto e dove sia in grado di vivere in modo più dignitoso e più sereno rispetto a quanto ha dovuto fare sua madre. Soprattutto in un Paese dove, laddove lei avesse dei meriti, le fossero riconosciuti. Perché il nostro Paese non è affatto così.



Marianna Lepore


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