I nuovi lavori del web: poco riconoscibili, sottovalutati e dunque sottopagati

Marta Latini

Marta Latini

Scritto il 08 Lug 2013 in Articolo 36

Agenda digitale Assintel business school Sole 24 Ore Giulio Xhaet ICT

Il web è il futuro, il web è la speranza. Anche dal punto di vista occupazionale. Ma è davvero così? In teoria forse sì, in pratica un po’ meno. Con l’iniziativa Agenda digitale europea, all’interno della strategia Europa 2020, la Commissione europea ha lanciato ai paesi membri la sfida di sfruttare al meglio il potenziale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict), per favorire il progresso e moltiplicare le opportunità d’impiego. Anche il Report del 2012 di Assintel (l’associazione delle imprese Ict di Confcommercio) guarda con fiducia all’impatto di Internet sulla crescita economica: «L’Italia parte dal 16esimo posto del ranking 2010, ma il contributo di Internet all’economia del nostro paese dovrebbe crescere più velocemente che in Francia e in Brasile e farci raggiungere il 14esimo posto nel 2016».

Se da una parte dunque ci sono propositi incoraggianti, dall’altra il bilancio ufficiale del 2012 stride con l’entusiasmo generale. L’anno passato si è chiuso con retribuzioni in calo per i lavoratori delle 132mila imprese dell’Ict, stando ai dati aggiornati al 2012 dell’Osservatorio delle competenze nell’Ict, a cura di Assintel. Negli ultimi quattro anni, nel 44% dei casi, gli stipendi in Italia sono cresciuti appena oltre l’uno per cento e in media sono stati sempre inferiori a quelli delle altre aree aziendali. Invece, in quasi un terzo dei casi, sono precipitati e con percentuali mai inferiori al 4%.

Passando in rassegna le schede relative ai profili retributivi delle professioni del web e incrociando la classificazione Assintel con quella dell’Iwa (l’associazione internazionale per la professionalità nel web), sorprende anzitutto che un settore che dovrebbe valorizzare i giovani sembra piuttosto penalizzarli. In primo luogo gli stipendi crescono con l’età, una tendenza che siamo abituati a percepire come la norma ma che non lo è. A maggior ragione nell’universo digitale dove i giovani potrebbero dare un contributo decisivo, perché in materia di tecnologie sono più aggiornati e spesso anche più creativi.

Per fare un esempio: nel 2012 la retribuzione annua lorda di un impiegato inquadrato come Responsabile help desk (o Community manager secondo la definizione Iwa) è stata di poco più di 21mila euro nella fascia di età inferiore a 24 anni, pari a circa 1250 euro netti al mese; di quasi 25mila nella fascia 24-30 anni e di 29mila, cioè 1700 euro netti al mese, tra i 31 e i 40 anni. Inoltre un Key account manager o un Responsabile commerciale non possono aspirare alla qualifica di “quadro” se non nella fascia d’età tra 31 e i 40 anni.

Perché, dunque, un settore così presente nella nostra quotidianità e in continua evoluzione
stenta a decollare nel mercato del lavoro? Come sono considerate queste nuove professioni dalle aziende? Giulio Xhaet, fondatore di Appluego e docente presso la Business school del Sole 24 Ore, risponde così alla Repubblica degli Stagisti: «Manca uno standard di riferimento, soprattutto in Italia. Molto è in mano alla capacità dell'azienda o agenzia stessa, in particolare il top management, nel vedere e ottimizzare le opportunità di quello che mi piace definire "codice umanistico": se considero la comunicazione e l'advertising digitale alla stregua di strumenti alla moda che "chiunque può gestire" e che si possono usare "perché sono gratis o comunque costano meno", è ovvio che i professionisti verranno sottopagati e sottostimati».

In un certo senso la democrazia della rete viene confusa con la banalizzazione delle competenze e con l’improvvisazione, mentre la paga si alza laddove le mansioni sono considerate più complesse e più specifiche. «Le aziende cominciano ad assumere proporzionalmente al ritorno sugli investimenti che vedono nel breve-medio termine e tendenzialmente, a parità di seniority, le professioni più "tecniche" come quella del Seo, il search engine optimizer ovvero l’ottimizzatore della visibilità in rete, del web analyst o dell’e-Reputation manager sono meglio retribuite». Il problema principale sembra essere quindi il rapporto direttamente proporzionale tra credibilità e retribuzione perché i nuovi lavori del web sono ancora poco riconoscibili e hanno urgente bisogno di standard di riferimento affinché gli addetti siano chiamati con i loro nomi, in base alle relative competenze.

Ma quali sono, in concreto, Le nuove professioni del Web? In un libro che si intitola proprio così, pubblicato da Hoepli l’anno scorso e correlato all’omonimo sito, Xhaet propone un suo inventario delle otto professionalità attive su Internet (Community manager, Transmedia web editor, Digital pr, All-line advertiser, e-Reputation manager, Web analyst, Seo, Content curator). Ma attenzione, nemmeno le classificazioni degli addetti ai lavori collimano perfettamente: soltanto due dei profili tracciati da Xhaet, quello del Community manager e quello del Reputation manager, sono comuni alla classificazione pubblicata lo scorso febbraio dall’Iwa, sul modello delle e-competences europee E-CF. L’Iwa ha portato il numero delle figure professionali dalle 17 del 2010 a 21, ed è in cantiere la nuova versione del documento, da pubblicare entro febbraio 2014.

L’aggiornamento costante ha un riflesso diretto sulla migliore riconoscibilità dei ruoli e di conseguenza sulle condizioni di lavoro, in termini di diritti e di doveri. «La sottoretribuzione è legata direttamente all’identificazione delle competenze: le aziende, quando cercano un professionista web, cercano spesso il tuttologo, mentre oggi è necessario che le aziende comprendano la necessità di sviluppare team specifici di dipendenti o di affiancare agli stessi dei consulenti, in base alle dimensioni aziendali» spiega ad Articolo 36 Roberto Scano, presidente dell’Iwa: «La classificazione, inoltre, consentirà ai singoli individui di poter ottenere certificazioni professionali per rendere riconoscibili i soggetti che effettivamente hanno dimostrato competenze specifiche».

Accanto all’attività di standardizzazione l’Iwa ha messo in primo piano la tutela dell’occupazione, siglando un accordo con Networkers.it, il primo sindacato online dei professionisti dell’Ict che si occupa di garantire anche le figure che sono slegate da uffici o aziende: un popolo di freelance e autonomi che lavorano da casa o per committenti, la parte più consistente dei professionisti del web, difficile da “stanare”. Occorrono pertanto nuove forme di iniziativa e di politica del lavoro: «Offriamo uno sportello sindacale di consulenza online e nelle sedi sul territorio; servizi d'incontro tra domanda e offerta di lavoro nell'ambito Ict per i quali a breve nascerà un portale appositamente dedicato; la Borsa delle professioni che quota in tempo reale il valore di ogni singola professione, attraverso una selezione periodica degli annunci di lavoro» racconta Giuseppe De Paoli, content manager del Sindacato-Networkers, un sito, che attivo dal 2011, conta più di ottocento registrazioni: «Sulla base di questi servizi predisporremo nei prossimi mesi un servizio di formazione per il settore, con corsi specifici rivolti in particolare alle nuove professioni come quelle legate al mobile e al cloud, tutte professioni in evoluzione molto rapida per le quali la formazione è particolarmente utile». C’è insomma ancora una lunga strada da fare ma la direzione è chiara. Il prossimo bilancio è previsto per ottobre, quando sarà presentato il nuovo Report Assintel 2013.

Marta Latini

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