Garanzia giovani: «L'errore è credere che possa cambiare tutto in poco tempo»

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 31 Ago 2015 in Approfondimenti

Di Garanzia Giovani in Italia si parla ormai da mesi, spesso e volentieri per evidenziarne le mancanze e i punti critici. Ma probabilmente le motivazioni sono da ricercare in fattori preesistenti – come il già alto tasso di disoccupazione giovanile presente pre piano in Italia – e nell’aver esportato un metodo che ha le sue lacune anche nei Paesi in cui è stato creato. Sono gli argomenti che evidenzia Francesco Pastore, 49 anni, professore aggregato di Economia politica alla Seconda università di Napoli e Research fellow dell’Institute for the study of labour di Bonn, in Germania, nel lavoro di ricerca «The European Youth Guarantee: labor market context, conditions and opportunities in Italy».

«Per ora mi sembra che il piano stia andando molto male: è una politica importante in cui ho creduto ma i numeri non sono positivi. Riguarda meno dell’1% dei giovani italiani. Certo un numero maggiore è stato preso in carico, ma solo formalmente», spiega il professore alla Repubblica degli Stagisti. L’idea di principio era anche giusta, su questo non ha dubbi, ma non sono stati presi in considerazione tutti i parametri. «Dopo anni e anni che abbiamo provato a importare la flessibilità dai paesi anglosassoni, abbiamo capito che non si riesce a farlo perché fa parte di un sistema, e se fai solo le riforme a margine che coinvolgono i giovani non è detto che siano efficaci. Si diceva poi che non è facile applicare il sistema duale tedesco» continua Pastore «anche se è quello che ora sta provando Renzi, visto che l’alternanza scuola lavoro che c’è nella Buona scuola non è altro che una sua applicazione parziale. E allora si è provato con il modello scandinavo che ha un sistema di istruzione sequenziale come il nostro». Sono, infatti, gli scandinavi ad aver "inventato" la Garanzia, ovvero a garantire entro i quattro mesi dall’uscita di un percorso di istruzione l’offerta di un lavoro o esperienza di formazione professionale.

Perché questo sistema, però, in Italia non riesce a decollare? «In realtà non funziona tanto bene nemmeno nei paesi scandinavi» osserva il professore. «Il punto chiave che secondo me è sfuggito a molti è che in questi paesi la disoccupazione giovanile continua ad essere alle stelle. Ed è così perché se non c’è la crescita il sistema non ce la fa a creare occasioni di lavoro ma crea solo, se ci riesce, la formazione professionale». Come alle stelle? I Paesi scandinavi non vengono sempre presi a esempio per il buon funzionamento del loro mercato del lavoro? Pastore è convinto che le cose non stiano proprio così, e cita il forum "Social Europe" e alcuni dati da lui elaborati da cui effettivamente Svezia e Finlandia risultano avere dei tassi di disoccupazione alti, mentre i Paesi che fanno meglio della media sono quelli dell'Europa centrale, Germania e Austria, e quelli anglosassoni.

Insomma, in Italia la Garanzia non funziona perché non c’è crescita. La differenza con i Paesi scandinavi è che lì almeno se le imprese non possono assumerti sono i centri per l’impiego a prenderti per offrirti la formazione. «Però in Italia sappiamo in che stato sono i cpi. La bella novità è che il governo vuole mettere mano e riformarli. Perché finché non ci sarà crescita l’unica cosa che possiamo fare è far funzionare i centri per l’impiego».

Partendo anche dall’idea che non può esserci una qualsiasi persona al loro interno. «Due anni fa mi invitarono in Germania in una città di cui non conoscevo l’esistenza e dove esisteva un’università per chi deve lavorare nei centri per l’impiego. Lì c’è una specializzazione più alta, perché non posso mettere chiunque all’interno di questi uffici, è un lavoro serio».

Pastore è convinto però che generalizzare sia sbagliato e che nonostante tutto esistano lo stesso degli ottimi casi funzionanti. Il vero problema è «un quadro istituzionale confuso e confusionario. Quando si è cambiato il titolo V della costituzione si è messa la scuola in mano allo Stato, la formazione professionale sotto la competenza delle regioni e i centri per l’impiego sotto il controllo delle province. Invece di far dialogare quelle che dovrebbero essere parti di un solo sistema si è deciso di dividerli. E la conseguenza è stata la balcanizzazione del sistema: alcune regioni stanno malissimo mentre altre con una capacità amministrativa maggiore stanno meglio».

In questo senso la creazione dell’Anpal, un’agenzia nazionale che dovrebbe coordinare i cpi ed evitare le differenze tra le regioni, pensata recentemente dal governo, è vista in modo positivo dal professor Pastore. Anche se alcune competenze dell’ente sono poco chiare. «Per ora stiamo andando sulla buona strada. Resta da chiedersi perché le regioni virtuose debbano essere bloccate. Quelle del sud devono solo ringraziare che è stata creata l’Anpal, ma per chi invece è riuscito a creare da solo, che deve fare: rinunciarci? Penso ad esempio alla Lombardia e all’esperienza della dote unica lavoro. Mi sembra un’esperienza interessante, la introdurrei a livello nazionale. L’unico modo per riattivare i centri per l’impiego è, infatti, dargli la possibilità di guadagnare dall’offrire dei servizi. Solo così si riesce a incentivarli».

L’idea in sostanza è metterli in competizione. «Si dà un voucher formativo a un giovane iscritto alla Garanzia e gli si dà la possibilità di spenderlo dai soggetti accreditati, pubblici, privati o no profit. A quel punto anche il pubblico sarà spinto a offrire qualcosa perché se per il giovane il voucher è solo un foglio di carta, per l’ente sono soldi. Si darebbe un interesse anche all’ufficio pubblico a muoversi».

In sostanza in questo modo si stimolerebbero tutti, imprese e aziende pubbliche, a offrire qualcosa di concreto. «Oggi se faccio l’orientamento, un corso di formazione o non faccio nulla, ha poca importanza perché la Regione mi darà i soldi in base a quello che ha deciso di fare».

Nell’attesa che si decida cosa fare per migliorare l’applicazione della Garanzia, il dato certo, al momento, è il crollo di iscrizione dei giovani al programma, dovuto secondo il professor Pastore a un insieme di fattori, ma principalmente all’entusiasmo «inizialmente alto poi, viste le notizie raccontate da amici e conoscenti e quelle che riportavano i giornali, è crollato. Il problema ora sarà convincere di nuovo i giovani a re-iscriversi. E il Governo dovrà spendere qualche euro per fare una campagna di stampa di diffusione di informazioni positive».

Su una cosa però il professor Pastore è positivo: dopo anni si è iniziato a provare a fare qualcosa su questo tema nel nostro Paese. Certo, «nessun sistema esterno all’Italia è facile da copiare. Non lo è il modello anglofono, quello tedesco o quello scandinavo. Ma non abbiamo fretta. In Italia abbiamo questa idea che se una legge non funziona allora la togliamo. Spesso, però, le cose non cambiano in un giorno, ma in dieci o trenta anni. Non ci aspettiamo, quindi, che la Garanzia giovani cambi qualcosa domani, ma che lo faccia nei prossimi anni».

Marianna Lepore

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