Diritto alla retribuzione: continua la battaglia degli specializzandi di area sanitaria

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 20 Mag 2014 in Articolo 36

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È il 2005 l’anno del cambiamento: con un decreto ministeriale si riorganizzano le scuole di specializzazione e si stabiliscono per tutte le discipline dell’area non medica – farmacisti, biologi, fisici, chimici – gli obiettivi che devono essere raggiunti e le ore che devono essere svolte in ospedale. Con una differenza, non di poco conto, rispetto ai colleghi medici: l’assenza di una retribuzione. Lo spiega bene Roberto Langella, 27 anni, avellinese, studente prima alla Federico II di Napoli e oggi al primo anno di specializzazione in farmacia ospedaliera all’università statale di Milano, tra i membri del Coordinamento italiano specializzandi di area sanitaria che vuole promuovere l’equiparazione dello status contrattuale ed economico dello specializzando “non medico” a quello medico.

La conseguenza del riordino delle scuole di specializzazione Langella la spiega chiaramente alla Repubblica degli Stagisti: «Facciamo l’esempio di un farmacista ospedaliero che farà la specializzazione affianco a un medico con gli stessi obiettivi e gli stessi impegni orari, ma con la differenza di non avere una retribuzione. Prendiamo la mia esperienza», continua lo specializzando «che è di circa 1065 ore annuali distribuite su 10-11 mesi, quindi all’incirca 22 ore settimanali che si inseriscono in un contesto di vero e proprio lavoro part time. Se aggiungiamo l’impegno orario dei corsi da seguire e quello per studiare e preparare gli esami, è impossibile integrare un lavoro part time per pagarsi le spese. Quindi chi segue questa specializzazione ed ormai non è più un 18enne ma una persona adulta, potrà farlo solo se è ricco o ha una famiglia che paga. La classica contraddizione del sistema scolastico italiano». Sì perché se lo specializzando non medico prende zero euro per ventidue ore settimanali, al suo fianco a condividere le responsabilità c'è invece lo specializzando medico che, secondo il contratto di formazione specialistica, guadagna 1.650 euro netti mensili (che dal terzo anno salgono a 1.750) per 38 ore settimanali.

Eppure non parliamo di un ruolo di secondo piano all’interno degli ospedali: «Senza la farmacia ospedaliera un nosocomio non va avanti e senza gli specializzandi in questo settore ci sono delle voragini a livello lavorativo nella struttura del dipartimento». Il problema è che anche in questo caso, come spesso capita per molti stagisti, lo specializzando viene utilizzato come tappabuchi, per coprire «le assunzioni che lo Stato non va a colmare» denuncia Langella. Così chi presta ore di lavoro senza essere pagato ha anche oneri al pari di chi al suo fianco svolge lo stesso lavoro ma retribuito: «All’interno delle farmacie ospedaliere ci vorrebbero 10 farmacisti e di solito ce ne sono 3-4. Prendiamo il San Carlo Borromeo di Milano dove lavoro: è un ospedale grandissimo e ad oggi ci sono quattro farmacisti strutturati e poi tre specializzandi, quindi un rapporto di 1 a 1».

Il tutto con una crescente diminuzione delle borse di studio disponibili: «A Milano su venti specializzandi annuali sono bandite quattro borse annuali assegnate sia per meritocrazia, quindi per la posizione in graduatoria, sia per reddito personale, non familiare, che non deve essere superiore a 7mila euro». I criteri cambiano da ateneo ad ateneo e si è arrivati anche a casi, come quelli di Bologna e Padova, in cui si è ridotto drasticamente il numero degli iscritti per garantire una borsa a tutti. Il caso più eclatante è quello del capoluogo emiliano in cui «è stato ridotto il numero degli specializzandi per garantire a tutti gli iscritti una borsa di 25mila euro l’anno, uguale a quella data ai medici grazie ai contratti di formazione». Negli altri casi, però, questa borsa non c’è e quindi uno specializzando in farmacia ospedaliera si trova a dover pagare solo di tasse annuali all’università 2.600 euro, per un totale di oltre 10mila euro per i quattro anni di studio. Ci sono poi tutte le spese accessorie, «Il vitto, ad esempio, per chi come me viene dalla Campania e studia a Milano, la mensa, i trasporti».

Una situazione, quella della specializzazione non retribuita, che è comune a tutti i professionisti dell’area sanitaria non medica come biologi, fisici, chimici: «Probabilmente è un problema culturale» osserva Langella «perché da un punto di vista professionale siamo tutte figure necessarie. Il medico clinico ha quel tipo di lavoro e obblighi, il farmacista ne ha altri, il biologo altri, ma se levi anche solo una di queste figure l’ospedale non funziona. Ci sono addirittura docenti medici che non conoscono il ruolo del farmacista ospedaliero che è importantissimo: siamo noi a monitorare l’appropriatezza terapeutica nelle prescrizioni antibiotiche che è uno dei problemi maggiori all’interno degli ospedali». Un’ignoranza diffusa che Langella giustifica per il cittadino comune che non ha dimestichezza del settore medico, ma non per i politici e i rappresentanti dello Stato che «continuano a non riconoscere il nostro ruolo e si proteggono dietro la frase molto banale, per giunta senza argomentarla, che “non ci sono soldi”».

Qualche politico ha preso a cuore la questione, tra questi spicca l’onorevole del pd Francesco Sanna che nel 2013 aveva presentato una proposta di legge per equiparare la situazione di tutti gli specializzandi dell’area sanitaria a quella dei medici, proposta che aveva provato a presentare tre anni prima al Senato. E recentemente era stata presentata un’altra proposta di legge per la riduzione degli anni di specializzazione che avrebbe riguardato sia medici sia non medici, ma che non ha fatto in tempo ad essere discussa a causa dei vari cambi di governo. Anche su questo punto Langella è diretto: «Aver cambiato tre governi negli ultimi anni non ha aiutato. Per effettuare delle riforme serie sia per le specializzazioni sia per il sistema sanitario nazionale serve una stabilità almeno di un quinquennio per poter avere tempo e risorse per distribuirle».

Nel silenzio della politica il lavoro del coordinamento però va avanti sotto la guida del presidente Francesco Corrente, biologo iscritto alla scuola di specializzazione in Biochimica clinica presso la Cattolica di Roma. L’obiettivo è «fare fronte comune per chiedere che i propri diritti vengano rispettati e ottenere il riconoscimento del proprio ruolo», seguendo l’esperienza dei medici specializzandi che nel lontano ormai 1991 sono riusciti ad ottenere i contratti di formazione «perché sono stati uniti, erano una sola testa e voce che è stata ascoltata», spiega Langella.

Il coordinamento è nato da poco ma porta già a casa degli ottimi risultati grazie alle pressioni fatte su ordini e Regioni per cercare di trovare dei fondi per le borse di specializzazione. Ad esempio in Campania con la delibera di giunta del 7 febbraio di quest’anno si è stabilito di destinare 10milioni di euro dei fondi sociali europei per l’erogazione di borse di studio per gli specializzandi di area sanitaria. Stesso percorso, quello dell’utilizzo dei fondi europei, che si sta tentando in Puglia, in Sicilia, nel Lazio e che si è concluso positivamente anche in Sardegna già nel 2013 con ben 29 borse di studio stanziate.

Il trattamento economico è però solo il primo dei tanti traguardi che il coordinamento si è posto
. C’è poi la partecipazione attiva, ancora troppo scarsa, da parte di tutti gli specializzandi di area sanitaria non medica perché, spiega Langella «se siamo in pochi i passi si compiono lo stesso ma sono molto lenti». C’è la questione previdenziale, gestita dall’Enpaf, l’ente nazionale di previdenza e assistenza farmacisti, che deve essere pagato da tutti anche se disoccupati e per i primi cinque anni può essere ridotta a soli 88 euro, in caso di disoccupazione, ma dopo non si ha più diritto a questo sconto e si deve pagare un’aliquota del 50% sul massimale per un totale di oltre 2mila euro. E non è tutto, «Se un ragazzo ha la partita iva e lavora in farmacia guadagnando 10-12mila euro lordi l’anno, ne deve versare all’Enpaf 4.300. E se ha una borsa di studio che non contempla la contribuzione Inps nel bando, come spesso capita, il giovane specializzando si trova a pagare il massimale. Con la contraddizione che la stessa quota fissa verrà pagata allo stesso modo da un borsista di 12mila euro l’anno, da un farmacista titolare di 40mila euro l’anno, da un cococo e da un cocopro. È un problema all’interno della nostra categoria che tutti conoscono benissimo ma che probabilmente nessuno vuole risolvere».

L’obiettivo principale dei prossimi mesi sarà poi la presenza continua sul territorio e la sensibilizzazione su queste tematiche, cercando di portare avanti i traguardi già raggiunti e di rafforzare un gruppo coeso che possa curare le istanze degli specializzandi di area sanitaria. Su un punto Langella è deciso: «Tornassi indietro farei la stessa scelta di specializzazione. Mi sono iscritto conoscendo già bene le problematiche. E penso che se si ha un obiettivo nella vita bisogna proseguire fino a che non è stato realizzato. Perché penso che il passaggio tra il disagio individuale e la risoluzione dei problemi che lo causano sta nell’unire questi “disagi” e fare fronte comune per risolverli».

Marianna Lepore

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