Fuggire sì, ma dove? Ecco i Paesi migliori per trovare lavoro all'estero

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 24 Ago 2014 in Articolo 36

Quello dell'emigrazione degli italiani in cerca di lavoro e fortuna è un tema che non passa mai di moda. A scriverne è anche Claudio Bosaia in Dove Scappo, da poco pubblicato dalla casa editrice Iacobelli: una sorta di guida all'espatrio con tanto di classifiche e numeri utili sulle migliori destinazioni nel mondo. A questo punto la domanda è d'obbligo. Fuggire sì, ma dove? Una classifica relativa al 2013 dell'Aire, l'anagrafe degli italiani all'estero, a cui fa riferimento il libro afferma che i cinque paesi del mondo con il più alto tasso di concentrazione di italiani sono Argentina, Germania, Svizzera, Francia e Brasile. A seguire Belgio, Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Australia.

Così, dopo i capitoli dedicati al vademecum per chi si appresta a partire (come «predisporre un curriculum in lingua inglese, possibilmente senza errori e inviarlo alle società che avete selezionato oppure a una delle molteplici agenzie locali che pubblicano offerte di lavoro»), Bosaia passa al dunque. E oltre a riportare minuziosamente tutte le classifiche più prestigiose al mondo sui migliori posti in cui vivere e lavorare in base a criteri economici e sociali (ma anche culinari o secondo le percentuali di abitanti che si dichiarano felici), ne produce una tutta sua, frutto della fusione e dello studio accurato dei dati raccolti. Risultato: il podio della top ten spetta alla Norvegia, seguita dall'Australia e dalla Spagna. Seguono nell'ordine Paesi Bassi, Stati Uniti, Danimarca, Svizzera, Canada, Messico, Francia. Tuttavia 
lo stesso Bosaia si professa in disaccordo con la prima posizione: la Norvegia, afferma, vince nonostante «l’assenza di punteggi nelle categorie relative al life style (cibo, cultura, paesaggi, clima) e nonostante sia stata decurtata dei punti relativi ai suicidi». Evidentemente però, «l’accumulo di valutazioni positive relative ai parametri economici (reddito, Pil, welfare) era talmente mastodontico da prevalere rispetto a qualunque altro criterio di giudizio». Il perché di questo primato è presto spiegabile anche al netto dei giudizi sul clima (la temperatura media varia dai -7 ai 21 gradi) e il costo medio della vita un po' più alto che in Italia. Il salario medio netto è di 3400 euro mensili (in Italia sono duemila euro in meno, 1450)


Qualcosa di simile all'Australia, dove il tasso di disoccupazione è peraltro del solo 5%, e di quasi tutti gli altri Paesi indicati come papabili: quasi ovunque la situazione reddituale è migliore della nostra. In base a questi parametri sarebbe però meno giustificato il terzo posto della Spagna, considerata la disoccupazione al 25% e il salario medio addirittura più basso dell'italiano con 1400 euro mensili. Una spiegazione plausibile sulla Spagna la offre Claudia Cucchiarato, autrice del libro di successo sulla stessa tematica, Vivo Altrove, uscito qualche anno fa per Mondadori: «Si pensa che i nostri giovani vadano a perdere il tempo trasferendosi dove la crisi è ufficialmente più grave. Invece in Spagna l'immigrazione è diminuita moltissimo negli ultimi cinque anni e c'è solo una nazionalità in forte costante aumento»: gli italiani ovviamente, che «sono di nuovo gli stranieri più numerosi qui». E questo perché non ce ne andiamo solo per problemi lavorativi, bensì culturali e di mentalità» prosegue la Cucchiarato, a sua volta residente a Barcellona. «È nelle piccole cose che si vive la stanchezza di essere nati nel posto più bello e sbagliato del mondo: nelle beghe burocratiche, nella corruzione quotidiana piccolo-borghese, nel razzismo, nell'omofobia, nel ribrezzo che provoca una società basata quasi esclusivamente sulla parentela, il favore, la raccomandazione e la gerontocrazia» lamenta la scrittrice. «In tutto questo l'Italia purtroppo è ancora imbattibile». Ed è anche ciò che toglie la voglia di tornare. «Con il passare degli anni si diventa più nostalgici, ma di conseguenza meno disposti a farsi prendere in giro» spiega, motivo per cui «ancora non sono maturi i tempi per un ritorno di emigrati o per un arrivo massivo di stranieri interessati a lavorare (e soprattutto a vivere bene) nel nostro Paese».

Attenzione però a prendere decisioni affrettate. Secondo Aldo Mencaraglia di Italiansinfuga, un blog che assiste gli italiani negli espatri specie oltre oceano, la meta ideale restano sì i Paesi nordici, dove «la qualità della vita è molto alta come riportato dalle classifiche sulla vivibilità». Ma non tutto è scontato. «Non è assolutamente garantito che un trasferimento all'estero si traduca in un'esperienza positiva. Bisogna offrire quello che il mercato del lavoro locale richiede altrimenti si fa altrettanta fatica se non di più». Un avvertimento condiviso anche da Bosaia:
«Molti italiani, convinti dell’ineluttabilità di un crudele destino, decidono che non ci sia null’altro da fare se non trasferirsi in quei Paesi che la sorte ha baciato» scrive. Oggi «ci stiamo accorgendo che bisogna agire per cambiare le nostre prospettive di vita». Ma nel frattempo ce ne stiamo immobili «in attesa che il fato si muova per primo e sistemi la situazione». E sprecando, forse, la fortuna di essere nati italiani. «Da sempre ci diciamo che l’Italia è il Paese più bello del mondo, con le caratteristiche naturali più affascinanti, con la varietà paesaggistica e climatica più completa, è il Paese che contiene la stragrande maggioranza dei beni artistici» scrive Bosaia nell'introduzione. Chiedendosi dunque in modo retorico: «Pensavamo veramente che un Paese così esclusivo potesse dare cittadinanza a 60 milioni di abitanti senza chiedere nulla in cambio?». Un punto di vista inedito e foriero di nuove riflessioni, quasi a suggerire ai lettori che tanta bellezza toccata in sorte non può essere gratis. «Caro giovane neo-laureato, caro disoccupato, caro aspirante lavoratore, vuoi guidare una Ferrari?» scrive l'autore associando metaforicamente la fuoriclasse al Belpaese. «Prima dovrai guadagnarti abbastanza soldi da potertene comprare una» è il suo consiglio, «ma poiché nel nostro Paese non si assume più, dovrai arrangiarti diversamente, magari andando all’estero». Poi, accumulato «un bel gruzzolo di denaro», l'auspicato ritorno in patria. 
Gli italiani all'estero sono tantissimi, «il 7% della popolazione», assicura Bosaia. Ma il dato più sconcertante è che dei 60mila giovani espatriati il 70% è laureato. È come se si rimettesse a posto una Alfa d'epoca, ipotizza l'autore ricorrendo di nuovo a una metafora automobilistica, e «un giorno mentre siete lì a contemplare il risultato finale arriva uno sconosciuto, vi sfila le chiavi di mano, sale sulla vostra stupenda automobile e sgommando se la porta via». Allo Stato italiano succede praticamente lo stesso, con uno spreco che Bosaia calcola – incrociando i dati sulla spesa per l'istruzione e quello sul numero dei giovani laureati – pari a «cinque miliardi e 292 milioni all'anno». Che spreco.
 

 

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