Macché 15-24enni, la vera disoccupazione giovanile è quella dei trentenni

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 04 Giu 2013 in Articolo 36

Le dichiarazioni dei politici sulla disoccupazione giovanile sono ormai quotidiane. C'è preoccupazione, c'è allarme, bisogna agire, la situazione non è più accettabile... Tante parole.  Ma il problema é davvero grave: troppo grave per farlo mangiare dalla retorica e dalla imprecisione. «Il 38% di disoccupazione giovanile è inaccettabile» ha detto il  premier Letta, «Ci concentreremo sul piano giovani» gli ha fatto eco il ministro del Lavoro Giovannini.

Tutto giusto, ma il problema non è quello. Non è la disoccupazione giovanile. O meglio, non é quella che tecnicamente viene definita, a livello statistico e secondo standard europei, «disoccupazione giovanile»: cioè l'insieme dei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni che hanno finito (o smesso) di studiare e che cercano attivamente lavoro. Il fulcro della questione, signori della politica e del sindacato e colleghi dei media, sta altrove. Sì, il numero é impressionante, dire «c'è il 40% di giovani disoccupati» fa sempre un certo effetto, va bene per le prime pagine dei giornali. Ma non è assolutamente quello il problema dell'Italia.

Semplicemente per una questione di numeri e di proporzioni. Su 6 milioni di italiani in quella fascia di età, quelli che cercano lavoro e non lo trovano sono numericamente pochi: all'incirca mezzo milione. Perché, come ha spiegato anche Assolombarda, in quella fascia di età «la grande maggioranza è impegnata nello studio» e dunque «la popolazione attiva», l'unica che va conteggiata nelle statistiche sulla disoccupazione,  «è di soli 1 milione e 660mila individui, contro i quasi 4 milioni e mezzo di ‘inattivi’ da un punto di vista lavorativo».

Dunque «l'emergenza disoccupazione giovanile» si concretizza in mezzo milione di quindicenni - ventiquattrenni che cercano lavoro e non lo trovano. Tanti, da un certo punto di vista. Ma per come è strutturata la società italiana, non è poi così insopportabile che un giovane tra i 15 e i 24 anni non abbia ancora un lavoro che gli permette di mantenersi, e viva a carico - parziale o totale - dei genitori. Non è un dramma.

In altri Paesi lo è: le famiglie sono abituate a "lasciar andare" i figli molto presto per la loro strada, a sostenerli fintanto che studiano ma poi a smettere immediatamente di pagare le loro spese una volta diplomati o laureati. In quei Paesi, va detto, vigono sistemi di welfare molto più attenti ai giovani del nostro, e dunque il giovane ha a sua disposizione una serie di aiuti e incentivi dallo Stato che lo supportano nel momento di transizione dalla vita "da piccolo" nell'ecosistema familiare alla vita "da grande", fino alla conquista della piena autonomia.

Ma non divaghiamo. Il punto è la fascia di età che ci interessa. Che non è quella stabilita a livello europeo per misurare la disoccupazione giovanile. 15-24 é una fascia di età che non rappresenta nulla, in Italia. É buona solo per produrre le statistiche ufficiali nel rispetto dei parametri Eurostat, adatte alle comparazioni con altri Paesi UE, omogenee. 15-24 é una forbice significativa per Paesi in cui i ragazzi fanno un anno di superiori e due anni di università meno di noi italiani. Paesi in cui un 17enne spesso ha finito di studiare alle superiori, un 20enne all'università, e vuole entrare nel mercato del lavoro. Da noi ciò accade raramente.

La vera emergenza in Italia sono i 25-34enni. Quella é la vera, drammatica, insopportabile «disoccupazione giovanile»
. Non per le statistiche, ma per chiunque viva e osservi il mercato del lavoro italiano. Il disastro sono i milioni di 25-34enni disoccupati (cioè che hanno perso il lavoro e ne stanno cercando un altro), inoccupati (che non ne hanno mai avuto uno) o addirittura neet (che sono rassegnati e non lo cercano).

Su questa fascia di età vanno concentrati tutti gli sforzi. Sono i 25-34enni il futuro prossimo dell'Italia. Io li chiamo "giovani anzianotti", perchè non sono più giovanissimi ma nella cultura italiana vengono considerati e sopratutto trattati - sia da famiglie iperprotettive sia da datori di lavoro irresponsabili - come tali: sono loro che vanno aiutati a trovare un lavoro, agevolando le aziende ad assumerli. Sono loro che non hanno più l'età per vivere con i genitori e mantenersi grazie alla mancetta dei nonni. Sono loro che devono essere valorizzati, dopo tutto quello che hanno studiato: e pagati con stipendi decenti, in modo da poter uscire di casa, farsi un proprio nucleo, magari mettere su famiglia. Perché per fare figli non si può aspettare, come fanno le donne italiane, di essere vicine alla quarantina: lungi dall'essere un problema "privato", quello delle primipare attempate è invece un dramma che ha effetti sulla demografia e in ultima analisi sull'intera società italiana, sempre più povera di bambini e dunque sempre meno attrezzata per sostenere, tra trenta-quarant'anni, il peso del welfare per le pensioni.

È dunque sulla fascia di età 25-34, composta secondo gli ultimi dati Istat da oltre 7 milioni di persone, che la politica e il sindacato devono impegnarsi se vogliono davvero fermare il declino italiano. Perché solo 4 milioni e mezzo di questi 7 milioni hanno un impiego: questa fascia ha infatti un tasso di disoccupazione del 14,9% (dato 2012), altissimo considerando che i 25-34enni dovrebbero essere quelli più attivi e dinamici nel mercato del lavoro. In numeri "brutali" vuol dire che in questa classe anagrafica ci sono all'incirca un milione e 100mila disoccupati. Viceversa, ovviamente, il tasso occupazione è molto basso, un po' inferiore al 64%. E c'è un numero mostruoso di inattivi: 1 milione e 800mila.

Il timore invece é che il governo abbia in mente altro. Una operazione cosmetica, fatta più per l'Europa che per l'Italia. Un'azione concentrata sulla fascia sbagliata - quei 15-24enni in cerca di impiego che in Italia sono pochi e sostanzialmente meno disperati dei fratelli maggiori - per raggiungere l'obiettivo, come ha dichiarato Enrico Letta qualche giorno fa, di «un piano nazionale sull'occupazione con l'obiettivo di far scendere la disoccupazione giovanile nei prossimi anni, possibilmente sotto il 30%», per dare «speranza per il futuro».

Peccato che quello sia l'obiettivo sbagliato: la «speranza per il futuro» va data prima ai giovani adulti, e poi ai giovanissimi. Pensare gli interventi prossimi venturi di incentivo alle assunzioni in ottica 15-24 è utile solo nell'ottica di fare bella figura, tra 12 o 18 mesi, portando a Bruxelles il risultato di aver abbassato una disoccupazione giovanile che in Italia coinvolge a malapena mezzo milione di giovanissimi. Dimenticando i veri giovani "anzianotti" drammaticamente senza lavoro: i 25-34enni.

Eleonora Voltolina

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