Università, allarme del Cun: il taglio dei fondi fa crollare le immatricolazioni

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 25 Feb 2013 in Approfondimenti

Non solo sono le meno finanziate tra quelle dei Paesi Ocse.Stagisti Ma negli ultimi quattro anni hanno visto costantemente ridursi le risorse messe a disposizione dallo Stato. Il risultato è che le università italiane stanno assistendo ad un vero e proprio crollo delle immatricolazioni. Mentre cresce il rischio di fuga all'estero dei talenti più brillanti.
È lungo l'elenco dei mali che affliggono l'università italiana stilata dal Consiglio universitario nazionale nel corso dell'adunanza di fine gennaio, intitolato 'Le emergenze del sistema'. Il primo tema sollevato dal Cun riguarda le risorse a disposizione del mondo accademico. L'Italia, secondo dati Ocse del 2009, investe appena l'1% del suo prodotto interno lordo nell'università. In particolare, il governo stanzia appena lo 0,8 per cento. Peggio fa solo il Regno Unito, dove però i privati mettono a disposizione una somma pari allo 0,7 per cento del Pil. Dato che riporta lo stanziamento britannico in linea con la media dei 21 Paesi UE, che al mondo accademico destinano l'1,5% del prodotto interno lordo. Una percentuale che sale all'1,6% se si considerano i Paesi Ocse. In definitiva, la spesa italiana per la formazione universitaria è pari a due terzi di quella degli altri Stati europei.
Eppure lo scorso novembre proprio il Consiglio d'Europa scriveva che «anche in un periodo di scarse risorse finanziarie, investim
Stagistienti efficienti ed  adeguati nei settori favorevoli alla crescita quali l'istruzione e la formazione  costituiscono una componente fondamentale dello sviluppo economico e della  competitività, i quali a loro volta sono essenziali per la creazione di nuovi posti di  lavoro». Appello che in Italia è rimasto lettera morta. Anzi, al contrario, la spesa per l'università è in costante calo dal 2009: da allora, quando ministro era la berlusconiana Maristella Gelmini, ad oggi, con il 'tecnico' Francesco Profumo che pure è stato rettore del Politecnico di Torino. Una riduzione costante il cui risultato è che, si legge nel rapporto del sodalizio guidato da Andrea Lenzi [nella foto a sinistra], «il fondo di finanziamento ordinario ha conosciuto una contrazione delle  risorse tanto da essere, per il 2013, inferiore all’ammontare delle spese fisse a carico  dei singoli atenei», chiamati quindi a recuperare risorse per chiudere i bilanci. Operazione complessa per alcune facoltà, ai limiti dell'impossibile in tempi di crisi. L'alternativa è quella di tagliare i costi.
Di fronte a questo quadro «appare consolidarsi il rischio di un incremento dell’emigrazione intellettuale delle giovani generazioni». Insomma si torna alla fuga dei cervelli. Del resto come biasimare i giovani ricercatori che accettano offerte dall'estero quando gli stipendi «per le fasce iniziali di accesso ai ruoli, possono arrivare al 50-70% in più di quanto percepito in Italia»? Ma questi numeri sono solo il preludio all'allarme finale lanciato nel suo rapporto dal Cun, che parla di una tendenza «particolarmente preoccupante» legata ad una «non trascurabile flessione delle immatricolazioni».Stagisti Stando infatti all'anagrafe degli studenti gestita dal ministero dell'università gli iscritti all'università sono passati dai 338mila del 2003 ai 280mila dell'anno accademico 2011/2012. Si tratta di un calo di 58mila studenti, pari al 17 per cento del totale. Per capire meglio, è come «se in un decennio fosse scomparso un ateneo grande come la Statale di Milano».
Per un Paese come l'Italia, che nel 2010 era al 34simo posto per numero di laureati, che nella fascia tra i 30 ed i 34 anni sono il 19% contro una media europea del 30, non è certo un dato incoraggiante. Lo scorso anno, ricorda il rapporto, Roma si è impegnata a portare al 26-27% la percentuale di popolazione in possesso di un diploma di laurea. Per riuscirci il primo passo è ricominciare ad investire, e dare una decisa scalata alla classifica Ocse che nel 2009 vedeva l'Italia al 32simo posto per la spesa in educazione terziaria rispetto al Pil. Però per farlo il prossimo governo dovrà invertire la tendenza, rimpolpando finalmente i fondi per l'università e sopratutto per il diritto allo studio.

Riccardo Saporiti

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