Congedo di paternità obbligatorio, passo in avanti verso l’Europa

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 12 Apr 2012 in Notizie

La riforma del lavoro, approvata dal governo lo scorso 23 marzo, introduce tra le varie novità per la prima volta nel nostro Paese il congedo di paternità obbligatorio. Il testo del provvedimento presentato due settimane dopo stabilisce infatti, all'articolo 56, che «il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di tre giorni, anche continuativi». Cosa significa? Se la riforma dovesse passare, tutti i lavoratori dipendenti avrebbero diritto a tre giorni continuativi di assenza dal lavoro nei cinque mesi successivi alla nascita del proprio figlio, regolarmente retribuiti. Ma,  chiarisce il provvedimento, di questi tre giorni, due sono «in sostituzione della madre e con un riconoscimento di un’indennità giornaliera a carico dell’Inps pari al cento per cento della retribuzione e il restante giorno in aggiunta all’obbligo di astensione della madre con un riconoscimento di un’indennità giornaliera pari al cento per cento della retribuzione». Inoltre, «il padre lavoratore è tenuto a fornire preventiva comunicazione in forma scritta al datore di lavoro dei giorni prescelti per astenersi dal lavoro, almeno quindici giorni prima dei medesimi».
Questo significa che due dei tre giorni obbligatori per i padri vengono sottratti a quelli a disposizione per la madre
. È utile ricordare che le madri italiane possono già avere cinque mesi di congedo retribuito all'80% e un numero indefinito opzionale di mesi al 30% dello stipendio, fino al compimento del primo anno di età del bambino.
Il congedo di paternità va distinto da quello parentale, che già esiste in Italia, anche se facoltativo. Fino all’ottavo anno di età del bambino il padre può assentarsi dal lavoro per un periodo di tempo, continuativo o frazionato, pari a cinque mesi, percependo una retribuzione pari al 30% di quella normale. Tuttavia le astensioni dal lavoro, se utilizzate da entrambi i genitori, non possono superare il limite massimo complessivo di 11 mesi.
L'introduzione del congedo di paternità comporta un cambiamento significativo: oggi esso esiste ma è una (rara) agevolazione che le aziende possono concedere ai propri dipendenti, sulla base di specifici accordi contrattuali o come una specie di «benefit» individuale. Rendendolo universale il governo allinea finalmente il nostro Paese al panorama europeo, dove invece è già ampiamente diffuso e dove già esistono benefici significativi sia per il padre che per la madre.
In ambito istituzionale è tuttora in corso un dibattito: un anno e mezzo fa il Parlamento europeo ha adottato in prima lettura le revisione della direttiva sul congedo parentale che prevede l’estensione nei paesi Ue del congedo di maternità a 20 settimane totalmente retribuite e un congedo di paternità di due settimane. Oggi il provvedimento è in attesa della reazione del Consiglio prima di passare alla seconda lettura.
Qual è la situazione attuale in Europa? A portare il buon esempio sono, come spesso accade in materia di welfare, i paesi scandinavi. Secondo le rilevazioni dell’Eiro (European industrial relations observatory online), osservatorio europeo del lavoro, in Norvegia i neopapà possono godere di sei settimane di congedo retribuito al 100% e di 45 settimane, da dividere con la madre, all’80%. In Finlandia i padri hanno diritto a un congedo retribuito di quattro settimane, in Danimarca a due. Tutti e tre i paesi presentano tassi di natalità più elevati rispetto all’Italia: nel primo caso è 12 ogni mille abitanti; nel secondo e nel terzo 11,2 (dati Onu 2010). Il nostro Paese, secondo le ultime rilevazioni Istat, si attesta su 9,1 ogni mille abitanti.  La differenza è evidente.
Ma è sufficiente anche solo spostarsi oltralpe per trovare una situazione migliore della nostra: in Francia i papà beneficiano di un congedo retribuito di due settimane, di cui undici giorni di paternità e tre per «motivi familiari». Lo stesso per il Regno Unito: il periodo di assenza dal lavoro, completamente pagato, è pari a due settimane, da sfruttare in qualsiasi momento fino a otto settimane dopo la nascita. Nei due paesi il tasso di natalità registrato è pari, rispettivamente, al 12,2 e al 12%.
Anche in stati con un tasso di natalità appena poco più alto del nostro, come nel caso del Portogallo (10,5 nati ogni mille abitanti) è in vigore il congedo di paternità: l’astensione dal lavoro può arrivare fino a cinque giorni, con una retribuzione al 100%.
Si passa invece da cinque a due giorni di astensione retribuita dal lavoro in Spagna (tasso di natalità di 10,8 su mille abitanti), Paesi Bassi (11,1 nati ogni mille abitanti), e Grecia (9,3 ogni mille abitanti).
Ma l'Italia non è sola: anche in altri paesi Ue invece non esiste ancora un congedo di paternità obbligatorio. È il caso di Austria, Germania (dove il padre però può dividere con la madre fino a 12 mesi di astensione dal lavoro,al 67% della retribuzione) e Irlanda, dove a marzo 2007 è stato stabilito un congedo retribuito per le madri di 26 settimane, al 75% dello stipendio, mentre per i papà non esiste alcuna formula che consenta di usufruire della retribuzione piena (o quasi piena) per accudire per un periodo i propri figli.
Recenti anche le decisioni in materia di tutela dei padri lavoratori adottate oltreoceano: negli Stati Uniti parlare di congedo di paternità retribuito è quasi un’utopia. Attualmente non esiste neppure un congedo di maternità completamente pagato; dal 2003 neomamme e neopapà possono richiedere 12 settimane tra congedi per malattia e parentali. Per beneficiarne però è indispensabile aver lavorato almeno 1.250 ore nel corso dell’ultimo anno per un datore di lavoro con più di 50 dipendenti. Negli anni successivi, le legislazioni di alcuni stati hanno iniziato ad adottare provvedimenti che vanno incontro alle esigenze del lavoratore: dal 2004 in California è possibile ottenere sei settimane di congedo parentale parzialmente retribuito. Anche negli stati di Washington e del New Jersey si stanno seguendo politiche simili, ma tuttora la maggior parte dei neopapà americani continua a prendere giorni di permesso non pagati o di malattia per stare con i propri figli nei primi mesi di vita.
In ogni caso, per arrivare anche in Italia a una «maggiore condivisione nella gestione dei figli da parte di entrambi i genitori e una maggiore conciliazione tra i tempi del lavoro e quelli della famiglia», così come auspicato dal ministro del Lavoro Elsa Fornero, bisognerebbe fermarsi e pensare ad alcune integrazioni. Innanzitutto, sarebbe opportuno che nel passaggio in Parlamento il testo della riforma cambiasse, e venisse sensibilmente aumentato il numero – finora francamente aneddotico – di giorni di congedo per i neopapà. E soprattutto che il congedo di paternità non sia considerato un beneficio da concedere al padre, privando le madri del tempo per stare con i propri figli, ma come un pieno diritto per entrambi i genitori, in modo da stare vicino al bambino nelle fasi iniziali della crescita.

Chiara Del Priore

Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
- Donne e libere professioni, un binomio ancora difficile
- Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani
-
Riforma del lavoro, il ministro Fornero: «Non andrà in vigore prima del 2013»

Community