Quanto costa assumere un giovane, quanto pesano gli incentivi: ecco tutta la verità

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 20 Lug 2013 in Articolo 36

Oggi la Repubblica degli Stagisti fa una simulazione. Si mette nei panni di un datore di lavoro che ha bisogno di assumere un giovane, e deve decidere come farlo. Si tratta di un signore informato, che legge i giornali, e che sa che il governo ha messo a punto una manovra che incentiva il lavoro giovanile dando un bonus alle aziende che assumono. Sa anche che ormai da anni il ministero del Lavoro invita le imprese ad assumere gli under 30 con una speciale tipologia contrattuale, chiamata «apprendistato», che prevede sgravi molto appetibili per le aziende, anche se comporta l’onere di attivare un percorso di formazione per il giovane assunto.

Per fare questa simulazione abbiamo immaginato che il datore di lavoro si avvalga della consulenza di una professionista d’eccezione: Annamaria Giacomin, tesoriere dell’Ordine nazionale dei consulenti del lavoro e ovviamente grande esperta di contrattualistica e costo del lavoro. A lei il nostro imprenditore dice: intendo pagare il neoassunto all’incirca 1.300 euro netti al mese, quanto mi costerà fare questa assunzione?
«Mi pare che la cosa più semplice sia fare un contratto a progetto» attacca l’imprenditore. Sicuramente una fra le più convenienti: nella nostra simulazione poniamo che sia possibile delineare un progetto vero (o quantomeno verosimile) per l'inquadramento della risorsa con questa particolare tipologia contrattuale. Con il cocopro al datore di lavoro spetta una mole ridotta di oneri. Deve pagare al collaboratore la retribuzione, che nel nostro calcolo è pari a 21mila 840 euro lordi annui. Ciò equivale più o meno a 1.820 euro lordi al mese, che nelle tasche del lavoratore diventano 1.321 euro netti per 12 mesi. A questo costo vanno aggiunti 
circa 5.120 euro di contributi a carico del datore di lavoro. Il lavoratore dovrà poi pagare di tasca propria la sua quota contributiva (intorno ai 1.200 euro annui). È tutto. Sì, è tutto. Al datore non è chiesto nient’altro: il contratto a progetto non prevede accantonamento del tfr – il trattamento di fine rapporto – nè ferie, permessi o straordinari retribuiti. In caso di malattia o gravidanza del collaboratore a progetto, il datore non anticipa alcuna indennità e non deve pagare integrazioni. Dunque per assumere la nuova risorsa di cui ha bisogno con questa modalità, l'imprenditore sborserebbe ogni anno circa 27mila euro: 26.959 per la precisione. C'è da aggiungere che la retribuzione del cocopro è da intendersi come forfait, per cui la cifra erogata mensilmente dal datore non è uno "stipendio mensile" ma un "rateo" della retribuzione concordata per il progetto, proporzionata alla durata stabilita per la realizzazione del progetto - per esempio, 12 ratei nel caso di un contratto a progetto di durata annuale. Va ricordato anche che il cocopro, a differenza del contratto di lavoro subordinato, non implica l'obbligo tassativo per il collaboratore di rispettare orari nè di recarsi quotidianamente sul luogo di lavoro: permette però al datore di lavoro di richiedere una presenza assidua, per esempio per l'utilizzo di strumenti messi a disposizione (computer, telefono etc) presso la sua sede. Riassumendo: il costo totale per un periodo ipotizzato di tre anni per assumere il giovane con questa tipologia contrattuale ammonta per il datore di lavoro a 80mila 877 euro.

«Ma il ragazzo che lei vorrebbe assumere non ha meno di trent’anni?» chiede la consulente del lavoro. «Perché in questo caso si può pensare di attivare un contratto di apprendistato». L’imprenditore la ascolta. «Qui si entra nel novero dei contratti di tipo subordinato,  correlati ai contratti collettivi nazionali: nel suo caso, quello del commercio. Per le mansioni che vuole affidargli, possiamo ipotizzare un inquadramento al terzo livello: il neoassunto verrebbe così a prendere più o meno la stessa retribuzione netta mensile che abbiamo ipotizzato col cocopro». La retribuzione annua lorda infatti è 
quasi uguale, 20mila 240 euro – pari a 1.098 euro netti per il primo anno, 1.132 per il secondo, 1.165 per il terzo – spalmata su 14 mensilità. Ciò significa, per il lavoratore, che a giugno e a dicembre lo stipendio sarà doppio, perché questo contratto prevede, indipendentemente dalla performance del lavoratore e dal fatturato dell’azienda, il diritto a percepire due mensilità aggiuntive, la tredicesima e la quattordicesima. Per le microimprese al di sotto dei 10 dipendenti vi è un abbattimento quasi totale della contribuzione a carico del datore di lavoro, che viene a pagare all’incirca 330 euro all’anno (invece la quota a carico dell’apprendista è simile a quella del cocopro, intorno ai 1.200 euro all’anno). Se invece si tratta di un’azienda con oltre 10 dipendenti, la contribuzione a carico del datore (comunque significativamente ridotta) è pari all’11,61%: dunque circa 2.350 per il primo anno, 2.440 per il secondo e 2.520 per il terzo. Vi è poi il tfr, una somma annuale pari a circa una mensilità all’anno che il datore di lavoro è tenuto ad accantonare e che dovrà poi erogare al lavoratore in caso il contratto si interrompa, sia per licenziamento sia per dimissioni. Per il primo anno tale cifra è di circa 1.500 euro; per il secondo anno sale a 1.555, e per il terzo arriva a 1.608 euro. «Beh, messa così mi pare che questo contratto sia molto competitivo con il contratto a progetto» esulta il datore di lavoro. «È certamente un contratto vantaggioso per i datori» conferma la consulente. E per il lavoratore che gode di molti diritti negati a chi viene inquadrato come cocopro: la tutela previdenziale ed assistenziale, dato che agli apprendisti spetta la copertura assicurativa per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le malattie, l’invalidità e la vecchiaia, la maternità, l’assegno familiare. Oltre che, dal 1° gennaio di quest’anno, anche l’Aspi, la nuova assicurazione sociale per l'impiego introdotta dalla riforma Fornero, per avere un sussidio di disoccupazione in caso di licenziamento. Ma per correttezza la consulente spiega al suo cliente anche i punti di svantaggio rispetto al cocopro. L’apprendista, al pari di un lavoratore a tempo indeterminato, ha diritto a un certo numero di ore di permesso retribuito. Tale numero è 88 all'anno: 32 per le quattro «festività abolite», più altre 56. In caso l’azienda abbia più di 15 dipendenti, poi, ve ne sono 16 aggiuntive. Vuol dire che nel corso dell’anno il datore pagherà il suo apprendista per 11 giorni nei quali l’apprendista non sarà operativo in azienda. «In più delle ferie?» chiede l’imprenditore. «Esatto, in più delle 173 ore, cioè 26 giorni, di ferie retribuite che gli spettano». In sostanza, cioè, sulle circa 2mila ore di lavoro di cui è composto un anno, ve ne sono 261 (pari al 13%) in cui il lavoratore non lavora ma viene pagato. Non è tutto. L’azienda che assume un apprendista deve per legge fargli svolgere un tot numero di ore di formazione: parte di essa può avvenire all’interno dell’azienda, on the job, ma un’altra parte va obbligatoriamente svolta al di fuori. Il numero esatto di ore viene stabilito da ciascuna Regione, ma raramente si va sotto le 40 ore di formazione esterna annuale. «Dunque un’altra intera settimana in cui io dovrò retribuire il neoassunto ma non lo avrò a disposizione in azienda» riflette l’imprenditore. Per il datore di lavoro però vi sono incentivi normativi ed economici, e anche fiscali: le spese sostenute per la formazione dell’apprendista per esempio sono escluse dalla base di computo dell’Irap. Non si tratta di grandi cifre, ma sono sempre piccoli aiuti. In totale dunque questo contratto costa a un’azienda con meno di 10 dipendenti poco più di 22mila euro il primo anno, circa 22.900 il secondo anno e 23.665 il terzo anno; se l’azienda ha più 10 dipendenti il costo lievita un po’ e si attesta a poco più di 24mila euro per il primo anno, 25mila per il secondo anno e 25mila 837 euro per il terzo

«E a proposito di incentivi: se volessi usufruire di questi milioni di euro che il ministro Giovannini ha annunciato di aver messo a disposizione per aiutare le imprese ad assumere giovani?» chiede l’imprenditore. «Questo incentivo viene erogato solo per le aziende che assumono subito a tempo indeterminato» chiarisce la consulente del lavoro. «L’incentivo è pari ad 1/3 dell’imponibile previdenziale mensile, fino ad un massimo di 650 euro mensili per lavoratore, e spetta per 18 mesi. Verrà corrisposto dall’Inps previa presentazione di una domanda telematica, tramite conguaglio con i contributi previdenziali mensili». A questo punto non resta che fare i calcoli per paragonare i costi di questa tipologia contrattuale, comprensivi ovviamente dei benefici dell’incentivo, ai costi delle due precedenti tipologie. Il contratto a tempo indeterminato con un inquadramento identico a quello dell’apprendistato, dunque ccnl commercio terzo livello, prevede una retribuzione annua lorda di 23mila 914 euro: ciò nella busta paga del neoassunto significa 1.226 euro netti al mese per 14 mensilità. La contribuzione poi a carico del datore è di 8.343 euro annui, significativamente più alta che nel caso dell'apprendistato, cui poi il lavoratore dovrà aggiungere di tasca propria la quota di poco meno di 2.200 euro. Il tfr è pari a 1.652 euro all'anno. Il numero di ore di ferie e permessi retribuiti è identico a quello degli apprendisti, dunque 173 ore annue di ferie più 88 ore di permessi nelle aziende che impiegano fino a 15 dipendenti, 104 ore di permessi nelle aziende con oltre 15 dipendenti. «Insomma di nuovo il discorso che pagherò il mio dipendente per 33 giorni lavorativi nei quali lui invece non lavorerà». Esatto. «Ma almeno c’è l’incentivo!». Certo: il datore di lavoro percepirà, per effetto del decreto legge 76/2013, la cifra di 6.970 euro a titolo di incentivo. Dunque il costo totale per l’azienda sarà di poco meno di 34mila, ma grazie all’incentivo scenderà a 26mila 939. Per il primo anno. Per il secondo l’incentivo è già dimezzato, dato che esso dura solo 18 mesi: dunque all’azienda il lavoratore costerà sempre 34mila euro, ma lo Stato gliene ridarà solamente 3.485. Costo totale azienda per il secondo anno di assunzione del giovane: 30mila 424 euro. Per il terzo anno, niente incentivo: dunque l’azienda dovrà sostenere in toto, e senza aiuti,  il costo di 34mila euro.

Ricapitolando: per assumere per tre anni un giovane con un contratto a progetto l'imprenditore verrebbe a pagare 80mila 877 euro. Assumerlo per lo stesso periodo di tempo con contratto di apprendistato gli costerebbe 68mila 630 euro nel caso di una impresa fino a 9 dipendenti, e poco meno di 75mila euro per una con più di 9. Mentre assumerlo con il contratto a tempo indeterminato, con tutti gli incentivi Letta-Giovannini già conteggiati, verrebbe a costare 91mila 272 euro.

L’imprenditore guarda incredulo la sua consulente del lavoro. «Vuol dire che con tutti gli incentivi del governo, assumere con questa modalità resta la scelta più antieconomica?». Purtroppo sì.
«Le assunzioni effettuate, per poter beneficiare degli incentivi, dovranno comportare un incremento occupazionale netto. Questo determina un difficile accesso all’incentivo da parte delle imprese» è la riflessione che Annamaria Giacomin affida ad Articolo 36: «L’incentivo verrà corrisposto dall’Inps ma la procedura, non ancora definita,  è un un difficile punto di partenza, sia per l’ulteriore adempimento tecnico sia per l’incertezza applicativa della norma». Un’altra possibile falla del provvedimento, oltre al fatto che  il costo per l’assunzione di un lavoratore a tempo indeterminato con gli incentivi è paradossalmente meno conveniente rispetto all’assunzione mediante  contratto di apprendistato o di una collaborazione a progetto. «Bisogna ricordare però che queste ultime due tipologie hanno maggiori criticità» ricorda Giacomin: «L’apprendistato comporta un notevole impegno per la formazione da parte del datore di lavoro e il cocopro è maggiormente rischioso per la sua facile riconducibilità al lavoro subordinato», in caso cioè un lavoratore decidesse di fare vertenza. Ma allora come bisognerebbe fare per realizzare maggiore occupazione? «Oltre allo sgravio contributivo, che io giudico "minimo" ma che almeno c’è, già previsto dal decreto legge 76/2013, sarebbe fondamentale anche lo sgravio fiscale a favore dei lavoratori almeno per lo stesso periodo. E nel contempo penso che sarebbe utile eliminare gli ostacoli previsti per la successione dei contratti a termine».

Eleonora Voltolina

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