Paese che vai, stage che trovi: maxi report della Commissione europea

Annalisa Di Palo

Annalisa Di Palo

Scritto il 25 Giu 2012 in Notizie

Paese che vai, stage che trovi: definizioni diverse, normative diverse, diversi diritti. A dispetto dei principi di semplificazione, coordinamento e mobilità più volte sollecitati dall'Ue. Come però - dati alla mano - cambia lo stage in Europa? La Commissione europea risponde per la prima volta a questa domanda pubblicando i risultati di un'indagine scientifica su scala comunitaria: dalla Grecia alla Finlandia, dal Portogallo alla Romania.

Lo studio, condotto dal centro di ricerca britannico Ies insieme al nostro Irs e al tedesco Bibb, è un quadro comparativo degli ordinamenti sullo stage nei 27 Paesi membri, a ciascuno dei quali viene dedicato un focus. Le conclusioni generali delle oltre 860 pagine di report sono chiare – e per altro in linea con quelle maturate in questi anni dalla Repubblica degli Stagisti, più volte citata nel documento. Innanzitutto, manca una definizione omogenea di tirocinio e delle linee guida condivise (un punto sul quale si registrano progressi con l'affermazione a livello istituzionale della Quality Charter promossa dallo Youth Forum). Non solo: persino all'interno di una stessa disciplina nazionale ci sono stage di serie A e stage di serie B. La ricognizione europea individua cinque categorie, a cui spesso vengono riservati trattamenti molto difformi: percorsi legati alla formazione; post-laurea; inseriti in programmi di Politiche attive per il lavoro (per persone con bassa scolarità ad esempio); quelli indispensabili a conseguire una qualifica; e infine internships offerti dai vari programmi internazionali – il Leonardo ad esempio. L'indagine però puntualizza: la presenza di un quadro normativo di per sè non garantisce la qualità del tirocinio: servono un'applicazione rigorosa (leggi sanzioni per chi fa il furbo) e un monitoraggio costante.

Al rapporto non servono invece grandi monitoraggi per affermare che il numero di stage è cresciuto vistosamente e in diretto rapporto a disoccupazione e precarietà. Inizialmente per fornire una via di accesso alternativa  e meno rigida al mondo del lavoro; poi come escamotage per pagare meno - o non pagare affatto – il lavoro dei giovani. Che non solo non ricevono un compenso ma sono anche costretti spesso, in nome dell' "esperienza", a rimetterci di tasca propria o a trovare qualcuno che investa su di loro. Attingendo in genere ai fondi regionali, nazionali o ai fondi comunitari (dove comunque si calcola un avanzo complessivo di 82 miliardi di euro); ma anche ai propri risparmi o a quelli dei genitori. Se va bene poi, ci sono borse universitarie e rimborsi aziendali. Una situazione che comunque oggi non passa più sotto silenzio: «Associazioni di tutela degli stagisti e piattaforme come Génération Précaire in Francia, Generation Praktikum in Austria, Interns Anonymous negli Uk e La Repubblica degli Stagisti in Italia hanno espresso forti preoccupazioni per l'utilizzo di stagisti come impiegati poco o nulla pagati», si legge nell'introduzione, a pagina 24.

I settori con più tirocinanti in generale sono industria creativa, giornalismo e media, ospitalità, terzo settore; persino il mondo delle Ong. I diritti degli eurostagisti variano molto da luogo a luogo, ma un dato trasversale sembra essere proprio la revisione delle diverse normative nazionali in vista di un miglioramento delle loro condizioni di tirocinio, sulla linea della Cherpion Law in Francia o il Common Best Practice Code for High Quality in Gran Bretagna, entrambi del 2011. O del disegno di legge Damiano in Italia.

A proposito di Italia. A pagina 513 del maxi rapporto si trova il focus sul nostro Paese, firmato dalla sociologa e ricercatrice senior dell'Irs Flavia Pesce. In cui i lettori più affezionati di questo sito ritroveranno dati a loro molto famigliari. Del resto, in merito alla preoccupazione per un corretto utilizzo dello stage, si afferma a pagina 527: «Significativa in questo senso è l'esperienza del sito La Repubblica degli Stagisti, nato come blog nel 2007 per raccogliere informazioni e esperienze sul mondo dello stage».

Il rapporto si apre rilevando subito alcune criticità –
riferite però all'anno 2009 e quindi anche meno gravi di quelle attuali: tasso di disoccupazione giovanile più elevato (25.4% conto il 19.8% europeo); percentuale quasi doppia di Neet (il 21% dei giovani tra i 15 e i 29 anni); mismatch tra domanda e offerta di lavoro (con 76mila posti di lavoro vacanti nell'artigianato). E "dulcis in fundo" una brutta medaglia: quella di nazione con il più alto numero giovani con la sola licenza media. Da qui nasce l'urgenza di legare saldamente formazione e lavoro, un'operazione che però in mancanza di coordinamento e omogeneità ha originato un quadro legislativo a macchia di leopardo.

Pesce ribadisce anche la mancanza di una fonte unitaria di dati, sia quantitativi che qualitativi: il principale strumento conoscitivo rimane il rapporto Excelsior di Unioncamere, che però «non include gli stagisti della Pubblica amministrazione. La Repubblica degli Stagisti stima, sulla base di dati Almalaurea, che il loro numero vari da 150 a 200mila all'anno», si legge a pagina 526. E, parlando ancora di dati, alla pagina precedente si cita l'Identikit promosso dalla RdS in collaborazione con l'Isfol nel 2010. Nessuna novità nemmeno sul fronte denaro: passando in rassegna i diversi strati normativi e le varie tipologie di stage il rapporto conclude comunque che, di regola, «poiché il tirocinio non costituisce rapporto di lavoro (a differenza di quando succede con l'apprendistato) il tirocinante non può aspirare ad alcuna retribuzione. Il compenso, in questo caso, consiste nella stessa formazione lavorativa».

E tra i due soli esempi di Good practices (l'altro è il progetto toscano «Giovani sì»), mette la Carta dei diritti dello stagista e le iniative «Ok Stage» e «ChiaroStage», auspicando la diffusione dello stesso «modello di corporate social responsibility su base volontaria».

Annalisa Di Palo

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