Bando agli stereotipi, con Bet she can si scommette sulle donne: fin da piccole

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 24 Gen 2017 in Notizie

occupazione femminile parità di genere STEM

Investire sulle future generazioni e in particolare sulle bambine che diventano veicolo e centro del cambiamento: da qui parte la fondazione Bet She Can, (espressione inglese che vuol dire “scommetto che ce la fa!”) nata nel gennaio 2015 da un’intuizione di Marie Madeleine Gianni, 44 anni, oggi dirigente part time in una multinazionale italiana, con l’obiettivo di offrire a giovanissime gli strumenti per sviluppare la consapevolezza di se e delle proprie potenzialità.

«Ho avuto la fortuna di vivere un’infanzia e un percorso professionale
e personale da privilegiata, senza subire una serie di stereotipi e sovrastrutture, che hanno pesato meno rispetto ad altre coetanee sulla mia educazione. Ma, purtroppo, nelle nostre società occidentali ci sono ancora tante costrizioni per le bambine. E da qui è nato l’intento di ragionare in modo diverso dal solito concentrandosi sulle opportunità», spiega la presidente della Fondazione Gianni. Partire quindi con un approccio positivo e far crescere delle opportunità, altrimenti non prese in considerazione, proprio in una fascia di età in cui gli stereotipi non giocano ancora un ruolo predominante. «Tra gli otto e i dodici anni si può ancora agire in modo positivo e ottenere un cambiamento. Anche perché la fascia di età successiva, l’adolescenza, ha altre priorità e il dialogo con gli adulti diventa più complesso». Perciò la Fondazione ha scelto questo target, buttando un occhio a quello che succede all’estero. Se in Italia corsi di empowerment per donne non mancano ma sono principalmente dedicati alle giovani dai 16 anni in su, all’estero - in particolare in Canada e Stati Uniti - ci sono varie realtà che anticipano questo tipo di interventi.

Al momento Bet she can offre vari progetti, in corso o in cerca di finanziamento, come la seconda edizione di “In viaggio con Rosetta”. «È un progetto che tocca il settore della robotica e dell’aeronautica e attraverso l’avventura della sonda Rosetta che va a raggiungere la sua cometa, le bambine svolgono dei laboratori di robotica e programmazione e dei workshop sui pianeti e le comete. Quindi nozioni base di astrofisica per avvicinarle a questi mestieri prettamente maschili».

Oggi le donne rappresentano ancora solo circa il 10% degli ingegneri nell’industria aeronautica e aerospaziale.

Un altro progetto che ha avuto molto successo è stato Cambiamo gioco, abbinato alla campagna «Barbie puoi essere tutto ciò che desideri» organizzato a Roma questa primavera con l’appoggio della Mattel, che lo aveva finanziato per diffondere il messaggio che la bambola «non sia tanto un recipiente di stereotipi ma un avatar che dà alle bambine la possibilità di sperimentare tutta una serie di opportunità di vita e di esperienze».

La Fondazione ha una serie di progetti attivi, ma è sempre disponibile ad attivarne nuovi. «Prima li ideiamo e poi cerchiamo il finanziamento». Al momento sono tutti concentrati tra centro e nord Italia, ma solo perché ci sono poche risorse. «Mi piacerebbe svolgere i prossimi progetti al Sud, anche perché la portata della Fondazione è assolutamente nazionale. Purtroppo però non abbiamo una struttura fissa: sono la presidente ma faccio la dirigente in una multinazionale italiana, quindi la Fondazione è la mia passione ma posso seguirla nei ritagli di tempo. Trovare partner locali per strutturare un progetto prende molto tempo e al momento nessuna azienda del sud ci ha chiamato per realizzare qualcosa insieme. Ma siamo convinte che queste tematiche siano assolutamente trasversali, geograficamente ma anche culturalmente e in termini sociali e di religione».

La Fondazione, poi, va oltre i corsi di empowerment. «Stiamo costruendo un database, raccogliendo i dati con dei questionari somministrati ai genitori, che a quell’età sono il punto di contatto delle bambine, per seguirle negli anni e vedere se rispetto alla media nazionale avranno strade diverse». Anche perché se vengono abbandonate e lasciate alla quotidianità ricca di stereotipi perderanno tutto ciò che hanno imparato. «Per questo sono importanti formule annuali come La Tribù. Di solito le bambine sono entusiaste, ma poi il corso finisce. La Tribù, invece, è ripetibile, con varie annualità, e superati i 12 anni si può anche diventare tutor delle bambine più piccole, dando continuità al percorso».

Un modo per seguire queste giovanissime, pensando a tutte le difficoltà che a causa del loro genere saranno costrette ad affrontare: «Pensiamo che le iscritte al Politecnico di Milano ancora oggi sono il 10-20%: trovarsi in una classe di ingegneria meccanica dove si è l’unica ragazza è complicato, si vive una vita di minoranza. Ma se uno ha acquisito gli strumenti per affrontare al meglio queste difficoltà, allora sarà più semplice». Di strada, però, ce n’è ancora moltissima da fare. Basti pensare che nell’ultimo report del World economic forum sulla partecipazione delle donne alla vita sociale ed economica, il nostro Paese è 114esimo su 145. «Uno magari nella vita di tutti i giorni non se ne rende conto, ma questa è la realtà dei fatti».

Bet she can è tra i pochi a prevedere percorsi di empowerment femminile per bambine così in tenera età. Ci sono però progetti simili realizzati per altre fasce di età. Per esempio il progetto La Nuvola Rosa, ideato da Microsoft Italia per sensibilizzare le studentesse tra i 17 e i 24 anni a colmare il divario di genere nella scienza, tecnologia e ricerca. Nel 2016, dopo le prime tre edizioni a Firenze, Roma e Milano, il progetto ha toccato il Sud, fermandosi a Bari, Napoli e Cagliari. In più di mille hanno potuto seguire dei corsi di formazione gratuiti, in ambiti molto tecnici, come il coding, per imparare basi di programmazione o sviluppare app o cloud computing.

A giugno 2016 è partito il progetto biennale Women in Technology promosso dalla Fondazione Mondo Digitale con la Costa Crociere Foundation e dedicato a 150 studentesse tra Campania, Calabria e Sicilia per prevenire il fenomeno dei Neet e creare nuove opportunità di lavoro. In questo caso il progetto è applicato in tre istituti di istruzione secondaria superiore dove si svolgono una serie di attività che mirano a dare informazioni sulla redazione di un business plan e mentoring nello sviluppo del progetto. Con l’obiettivo di supportare i progetti imprenditoriali delle giovani donne nel settore delle tecnologie.

Un altro programma tuttora in corso che cerca di aiutare le ragazze a raggiungere l’obiettivo della parità di genere nel mondo del lavoro – che secondo il World Economic Forum di questo passo non ci sarà prima di 100 anni – è Coding Girls. Promosso da Fondazione Mondo Digitale e dall’Ambasciata americana in Italia in collaborazione con Microsoft, cerca di raggiungere le pari opportunità nel settore scientifico e tecnologico. Destinatarie del programma sono mille studentesse di Milano, Napoli e Roma, suddivise in dodici scuole. Il progetto è partito nel 2014, durante il semestre italiano di presidenza del Consiglio dell’Unione europea e nel 2015 ha coinvolto 400 studentesse di sette scuole secondarie di Roma e Napoli.

Progetti apparentemente diversi tra loro per target, struttura e finanziamenti, ma accomunati dall’obiettivo di dare fiducia alle donne, fin dalla tenera età, e convincerle che tutte le strade nella loro vita saranno possibili. «Più una persona cresce, più si accorge dell’importanza di questi temi», spiega Marie Gianni motivando il perché abbia deciso di dare vita a Bet she can. Perché solo con corsi di questo tipo si potrà cercare di ridurre veramente il divario tra donne e uomini e dare alle prime la possibilità di fare nella vita tutto quello che desiderano e per cui si sentono portate, semplicemente alla pari dei maschi.


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