Il contratto di apprendistato dopo l'esame del Senato

Lorenza Margherita

Lorenza Margherita

Scritto il 26 Giu 2012 in Approfondimenti

Per porre un freno all'abuso dello strumento dello stage bisogna incentivare i contratti di apprendistato, che secondo gli ultimi dati Isfol al momento costituiscono invece appena il 15% delle assunzioni di giovani tra i 15 e i 29 anni. Ne è convinto il ministro Fornero, che ha affidato all’articolo 5 del disegno di legge per la riforma del mercato del lavoro il compito di apportare modifiche correttive ad alcuni punti del testo unico, il decreto legislativo (167/2011) in vigore dall’ottobre scorso, con il quale al termine l'ultimo governo Berlusconi aveva riformato il contratto di apprendistato. L’articolo 5 del ddl è stato successivamente oggetto di correzioni e implementazioni, discusse ed approvate in Senato lo scorso 31 maggio.
In primo luogo il ddl Fornero cerca di riportare ordine nella definizione numerica degli apprendisti assumibili da uno stesso datore di lavoro. Se il testo unico stabiliva che il numero di apprendisti in forza e lavoratori qualificati non poteva essere superiore al rapporto di 1 a 1, il ddl alza questo limite, fissando un rapporto di 3 a 2. Resta invariata, nel caso di un datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o ne abbia un numero inferiore o uguale a tre, la possibilità di assumere fino ad un massimo di tre apprendisti. La discussione in Senato dell’articolo 5 ha aggiunto un’ulteriore precisazione: per le aziende con dieci o meno dipendenti trova validità il rapporto 1 a 1
La seconda grossa novità ripresa dal ddl, ma già introdotta dal testo unico, riguarda la possibilità di assumere apprendisti in staff leasing (secondo l’articolo 20, comma 3, del decreto legislativo 276/2003) tramite le agenzie di somministrazione. Il ddl precisa però che il datore di lavoro dovrà includere anche questa categoria di apprendisti nel tetto massimo che ha a disposizione, nonostante questi lavoratori non facciano direttamente parte del suo organico. L’esame del Senato ha precisato che non sarà possibile assumere apprendisti in  somministrazione a tempo determinato.
La terza importante svolta introdotta dall’articolo 5 con il comma 3-bis, già presente nella formulazione presentata dal governo, stabilisce che nelle aziende con più di dieci dipendenti l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di formazione – nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione - di almeno il 50% degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. Si tratta di un limite per l’accesso al contratto di apprendistato in contraddizione con la finalità stessa che la riforma vuole riconoscergli. Per evitare questo rischio il Senato ha precisato che qualora non sia rispettata la percentuale è comunque consentita l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, anche in caso di totale mancata conferma degli apprendisti precedentemente
in forza.
Il testo licenziato da palazzo Madama non modifica quanto proposto dal governo per quanto riguarda la durata del periodo formativo previsto per questa tipologia di contratto e integra il testo unico
che stabilisce solo la durata massima del periodo di formazione in 36 mesi (estendibili fino a 5 anni nei casi predisposti dalla contrattazione collettiva per particolari profili lavorativi dell’artigianato) introducendo la durata minima del periodo di formazione, pari ad almeno 6 mesi.
Infine un dettaglio che ha fatto storcere il naso agli addetti ai lavori: l’articolo 5 alla lettera “b”, anche nella versione approvata dal Senato, inverte quanto stabilito dal testo unico in materia di preavviso. Chi è licenziato al termine del periodo di formazione durante il periodo di preavviso (che decorre dal medesimo termine) si vedrà applicare la disciplina economica e normativa del contratto di apprendistato, pur avendo di fatto completato il percorso da apprendista. Un ulteriore piccolo
e forse ingiustificato vantaggio per il datore di lavoro, che continua per i due o tre mesi di preavviso a pagare aliquote contributive e retribuzioni ridotte.
Ma perché l’apprendistato, pur essendo già ben normato e conveniente per le imprese da almeno un decennio, è rimasto bloccato a numeri piccolissimi? Nel 2010 sono stati attivati solo 289mila contratti di questo tipo in tutta Italia. Oltre al concorrente sleale
lo stage probabilmente ha contato anche l’eccessiva burocratizzazione della sua gestione. La frammentata e caotica regolamentazione regionale e interconfederale non aiuta i datori di lavoro, ma soprattutto gli intermediari incaricati, ad incentivarne la diffusione. In particolare nel caso dell’apprendistato professionalizzante, il più diffuso, c’è stata una vera corsa contro il tempo da parte della contrattazione collettiva per emanare accordi entro il 25 aprile scorso (data in cui è terminato i periodo transitorio dell’entrata in vigore del decreto legislativo): la legge prevede infatti che la disciplina del nuovo apprendistato diventi pienamente operativa solo quando la contrattazione collettiva e/o la legislazione regionale a seconda della tipologia di apprendistato – abbiano emanato i provvedimenti di loro competenza che disciplinino l’organizzazione delle attività formative, ad oggi firmati per tutte le regioni e per la maggior parte dei contratti collettivi nazionali di lavoro, ma non ancora attivi.
E se le aliquote contributive previste dal testo unico sia a carico del lavoratore (5,84%) sia a carico del datore di lavoro (per aziende fino a nove addetti, durante il primo anno di apprendistato si applica un’aliquota INPS del 1,5%, il secondo anno 3% e il terzo 10%, per le aziende con più di dieci dipendenti si applica per tutto il periodo di formazione il 10%) sono state confermate nel ddl, un altro punto critico che non favorisce il rilancio dell’apprendistato riguarda le agevolazioni contributive ed economiche promesse dalla legge di stabilità 2012 che ha previsto addirittura - per le assunzioni di apprendisti a partire dal 1 gennaio 2012 - uno sgravio del 100% della quota di contributi a carico dell’azienda nel primo triennio di lavoro: purtroppo al momento questa agevolazione non è applicabile per mancanza di fondi. Tuttavia restano attivi altre tipologie di incentivo cui le aziende possono aderire, fino a disponibilità, come i finanziamenti predisposti dal programma Amva, promosso dal ministero del Lavoro e attuato da Italia Lavoro, con il contributo del fondo sociale europeo.
In definitiva, le modifiche apportate dal governo Monti sono da ritenersi sufficienti per il vero sviluppo del contratto di apprendistato? Forse non completamente. Sarebbe dunque utile prendere in considerazione i moniti espressi pochi giorni fa a Ginevra dall’Ilo, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo: ripensare questa tipologia contrattuale tendendo al modello tedesco e a quello inglese, facendo della formazione non un semplice slogan ma un ponte tra scuola e lavoro ed un’esperienza altamente professionalizzante.

Lorenza Margherita


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