«Un ponte tra scuola e lavoro, ma vigili contro gli abusi»: parla Tiziano Treu, il «papà» degli stage

Giuseppe Vespo

Giuseppe Vespo

Scritto il 03 Lug 2009 in Interviste

Nel 1997 Tiziano Treu, all'epoca ministro del Lavoro, firma la legge 196 dando vita a un corpo di Norme in materia di promozione dell’occupazione. Tra queste, contenute in quello che ancora oggi chiamiamo «pacchetto Treu», ci sono anche le linee di indirizzo per la nascita degli stage. Oggi Treu [foto] è senatore nelle fila del Partito Democratico e presidente della Commissione permanente che si occupa di lavoro e previdenza sociale.

Senatore, lei è un po' il «papà» degli stage: a dodici anni dalla legge che porta il suo nome, che bilancio può fare?
Quando è usato nel modo corretto, lo stage risulta una buona formula. Ma si deve fare di più e meglio, seguendo l’obiettivo indicato dall’Europa: rendere queste esperienze lo strumento ponte tra scuola e lavoro, una sorta di passaggio obbligato per gli studenti.
Ogni anno sono almeno trecentomila gli stagisti italiani. Dalle loro esperienze emerge che lo stage è usato sempre meno come pura formazione e sempre più come espediente per avere manodopera a basso costo. Cosa ne pensa?
È vero: spesso si fa un uso abnorme di questo strumento, sia in termini di orientamento professionale sia in termini di formazione, dimenticando il fatto che non si tratta di rapporti di lavoro subordinato. E’ chiaramente un utilizzo distorto dello stage, che invece deve servire agli studenti per prepararsi ad entrare nel mondo del lavoro.

E gli stagisti trenta-quarantenni?

Purtroppo rientrano in quello che ho definito un uso distorto di questo strumento.
Come mai per le aziende poco virtuose la legge non ha previsto sanzioni? Non crede che oggi ce ne sarebbe bisogno? Qualcuno a questo proposito propone di multare le aziende, o almeno impedire di ospitare stagisti per un certo periodo.
Non è vero che le sanzioni non ci sono. Se lo stage maschera un rapporto di lavoro subordinato automaticamente si trasforma in lavoro nero, e come tale viene punito. Il vero problema semmai è quello dei controlli, che mancano e che dovrebbero essere fatti prima di tutto dalle scuole e dalle università. Anche perché in un Paese che soffre un tasso così alto di lavoro sommerso è difficile che i controlli di tipo ispettivo vengano fatti anche sugli stage. Per quanto riguarda multe o divieti temporanei per le aziende se ne può discutere, ma il problema è diffondere di più e meglio lo stage, non bloccarlo. Pensiamo invece a dare incentivi o premi a chi fa bene. Voglio citare l’esempio di un gruppo di istituti tecnici di Treviso, che ha costruito un percorso virtuoso per gli studenti dell’ultimo anno. I ragazzi si avvicinano alle aziende prima con sei mesi di stage orientativo, poi fanno quattro mesi in formazione e infine un anno di apprendistato. Alla fine del percorso la maggior parte di questi ragazzi resta in azienda a lavorare.
Lo stage deve avere finalità esclusivamente formative o può essere usato come prima fase di un processo di recruiting e di inserimento lavorativo?
Le due cose non sono incompatibili. Lo stage è un tirocinio, ma può essere collegato con l’inizio di un percorso professionale.
In quanto «formazione», lo stage può essere normato dalle Regioni. Questo genera casi discutibili, come quello del «Programma stages» avviato dal consiglio regionale della Calabria emerso proprio grazie a un'inchiesta della Repubblica degli Stagisti. Lì sono stati avviati e sono tuttora in corso tirocini di addirittura 24 mesi, destinati a laureati anche occupati. È accettabile?
Non molto: è chiaro che la competenza regionale in materia di formazione non può violare o tradire i principi del diritto del lavoro, la cui regolamentazione spetta esclusivamente allo Stato. Per quanto riguarda la Calabria, credo che sia un caso estremo. E non è certo l’unico esempio di cattivo utilizzo dei fondi europei destinati alla formazione professionale.
La Repubblica degli Stagisti ha definito di recente nove punti fondamentali per definire un buono stage, riassunti nella Carta dei diritti dello stagista. Suggerendo per esempio che gli stage non debbano durare più di sei mesi e che gli stagisti ricevano un minimo di rimborso spese. Che ne pensa?
Per quanto riguarda la durata massima dello stage direi che va bene quella attualmente prevista. Sui rimborsi bisogna stare attenti: secondo me dovrebbero essere riconosciuti solo sulla base delle effettive spese sostenute dallo stagista, e non stabiliti invece in modo forfettario, perché rischierebbero di avallare gli abusi.


Giuseppe Vespo

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